Responsabilità diretta della Pa e diritto all’azione di regresso

I profili giuridici relativi al caso dell’alluvione di Sarno del 1998
 
Con la sentenza 35419/2022 la Cassazione si è pronunciata sulla natura della responsabilità extracontrattuale della Pa (se di tipo diretto ai sensi degli articoli 2043 del Codice civile e 28 della Costituzione o di tipo indiretto ai sensi dell’articolo 2049 del Codice civile) in caso di illeciti penali del proprio dipendente, chiarendo quando la stessa possa esercitare l’azione di rivalsa prevista dall’articolo 2055, comma 2, del Cc nei confronti degli altri soggetti corresponsabili.
Il caso esaminato della Corte riguardava la «strage di Sarno», conseguente alla tragica alluvione del maggio 1998 in cui morirono 137 persone. Una volta definito nel 2013 il processo penale con la condanna del sindaco per omicidio colposo (con applicazione della pena di 5 anni di reclusione), due genitori che avevano perso il figlio e che si erano costituiti parte civile, citarono in giudizio lo stesso avanti il Tribunale di Salerno insieme alla Presidenza del Consiglio, al ministero dell’Interno e al Comune di Sarno per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda risarcitoria liquidando in loro favore la somma di 500 mila euro, dichiarando la responsabilità del sindaco e di tutte le amministrazioni convenute e riconoscendo a queste ultime il diritto di rivalersi nei confronti del Sindaco per quanto dalle stesse versato in esecuzione della sentenza.
Veniva invece rigettata la domanda di regresso spiegata dalle amministrazioni statali nei confronti del Comune di Sarno; decisione confermata anche in grado di appello.
Secondo i giudici di merito, infatti, tutte le amministrazioni erano indirettamente responsabili dell’illecito ex articolo 2049, il che impediva l’applicazione dell’articolo 2055, comma 2, del Codice civile.
Contro tale pronuncia sono ricorsi in Cassazione la Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno, ritenendo, al contrario, trattarsi di un caso di responsabilità diretta «per fatto proprio (…) in ragione del rapporto di immedesimazione organica e dell’articolo 28 della Costituzione». In particolare, la responsabilità diretta della Pa conseguiva al mancato esercizio delle funzioni pubbliche da parte del sindaco di Sarno, che, come accertato in sede penale, era stato ritenuto colpevole per la «mancata attuazione del piano di protezione civile (…) concretatasi soprattutto nella mancata evacuazione delle aree del territorio comunale investite dalla colata di fango; mancata richiesta di strutture e mezzi supplementari al Prefetto territorialmente competente; improvvide raccomandazioni fornite alla popolazione locale, invitata a rimanere nelle proprie abitazioni e a non lasciare il territorio comunale».
La Cassazione, richiamando i principi di diritto sanciti dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza 16 maggio 2019 n. 13246, ha ritenuto fondato il rilievo e ha cassato la decisione di appello, riconoscendo la pari responsabilità di tutte le amministrazioni unitamente al diritto di esercitare l’azione di rivalsa, oltre che verso il Sindaco, anche verso i corresponsabili.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la responsabilità diretta della Pa, che trova il proprio presupposto nell’articolo 28 della Costituzione in base al quale in caso di fatti illeciti del dipendente «la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici», deve reputarsi sussistente ogni qualvolta vi sia un nesso di occasionalità necessaria tra fatto illecito e responsabilità del dipendente e possa ragionevolmente ritenersi che le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo.
In particolare, tale responsabilità diretta discendente dal rapporto di immedesimazione organica, da accertarsi sulla base del principio della «causalità adeguata» (ovvero secondo l’id quod plerumque accidit), dovrà essere ritenuta sussistente anche quando il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, o abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali, purché la sua condotta costituisca il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni. Decidendo sul caso concreto, la Cassazione ha ritenuto sussistente la pari responsabilità delle amministrazioni convenute in giudizio per le condotte negligenti e omissive del Sindaco di Sarno e anche se costituenti reato, in quanto «non esercitare il potere non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato. Costituendo manifestazione di attività istituzionale anche l’omesso esercizio di potestà pubblica, la responsabilità del Comune nel caso di specie ha carattere diretto ai sensi dell’art. 2043 c.c.».
L’assunto della Corte è sicuramente condivisibile, vuoi perché, a mente dell’articolo 2043 del Codice civile «qualunque fatto» che cagioni ad altri un danno impone al colpevole di risarcirlo e, dunque, indipendentemente dal fatto che esso sia di tipo omissivo o commissivo, vuoi perché, laddove si dovesse dare rilevanza solo gli atti del dipendente di natura provvedimentale, si dovrebbe ammettere l’esistenza di ipotesi di esenzione di responsabilità in palese contrasto con il principio di uguaglianza formale di cui all’articolo 3 della Costituzione.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, anche il fatto dannoso derivante da una condotta omissiva (che sia eziologicamente causa dell’evento dannoso) è fonte di responsabilità diretta poiché esso, secondo le regole di diritto comune, non si sottrae al giudizio fattuale circa la sua imputabilità come fonte dell’illecito; ciò analogamente a quanto accade nel diritto penale, dove pure la condotta omissiva rileva al pari di quella commissiva ai fini della configurabilità del reato.