NewsLetter N.6/2024

SULLA NATURA VESSATORIA DELLA CLAUSOLA DI ESONERO DALLA PARTECIPAZIONE AGLI ONERI CONDOMINIALI PREDISPOSTA DALLA SOCIETÀ ALIENANTE E SOTTOSCRITTA DAI SINGOLI CONDOMINI NEI RISPETTIVI TITOLI DI ACQUISTO

Corte di Cassazione Civile, sez. II, sentenza 27 febbraio 2024, n. 5139

Con riguardo al regime di contribuzione alle spese condominiali comuni, La Suprema Corte di Cassazione - Sezione II – con sentenza 27 febbraio 2024 n. 5139, ha ribadito la natura vessatoria ex art. 33 del Codice del Consumo della clausola convenzionale predisposta dalla società alienante - costruttrice dell’edificio – e sottoscritta dai singoli condomini nell’ambito dei rispettivi titoli di acquisto dei relativi immobili, che escluda la partecipazione della medesima agli oneri condominiali per le unità immobiliari ad essa appartenenti rimaste invendute fino al momento dell’effettiva alienazione, a partire dal quale è, invece, prevista direttamente la partecipazione dei nuovi acquirenti alle spese di gestione condominiale.

 

Come è noto, negli edifici costituiti da più unità immobiliari, alla proprietà dei singoli condomini riferita all’appartamento concorre una comproprietà sui beni condominiali comuni, in ragione della quale le spese relative alla loro conservazione sono, di regola, sostenute da tutti i condomini in via proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.

 

Invero, in ossequio a quanto previsto dal secondo e terzo comma dell’art. 1118 del Codice Civile, il singolo condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire al pagamento delle spese per la loro conservazione, neppure rinunziando al proprio diritto sulle cose comuni e come precisato dal 4 comma dell’art. 1138 del Codice Civile, tale obbligo ha natura imperativa non potendo essere derogato da parte dei condomini nell’ambito di un regolamento condominiale convenzionale, neppure modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare.

 

Rimane ferma la possibilità per i condomini di disporre, nell’esercizio della propria libertà negoziale, un criterio di ripartizione inter partes delle spese diverso rispetto al criterio generale stabilito dal legislatore all’art. 1123 c.c., e ciò, in forza di una diversa convenzione contenuta nell’ambito di un regolamento condominiale contrattuale ovvero in una deliberazione assembleare approvata all’unanimità da tutti i condomini.

 

Tuttavia, in deroga alle predette disposizioni legislative, accade non di rado che il regolamento condominiale contrattuale predisposto dal proprietario originario – ovvero, dal costruttore/venditore dell’edificio - ed allegato agli atti di acquisto delle singole unità immobiliari contenga una clausola che lo esoneri dall'obbligo di partecipare alle spese condominiali per gli appartamenti di sua proprietà non ancora venduti.

 

Nel caso di specie, il Tribunale confermava la sentenza resa in primo grado dal Giudice di pace,  dinanzi al quale la società alienante – costruttrice dell’edificio –   sollevava opposizione avverso il decreto ingiuntivo intimatole dal condominio per il recupero dei contributi condominiali, eccependo la nullità della delibera assembleare con la quale il condominio, a maggioranza dei voti, aveva ripartito le spese condominiali anche a carico delle unità immobiliari di proprietà della società rimaste invendute in violazione della clausola di esonero dalla ripartizione delle spese sottoscritta da tutti i condomini all’atto di acquisto dei relativi immobili.

 

Detta clausola stabiliva che le unità immobiliari rimaste invendute dalla società alienante non avrebbero concorso al pagamento delle spese condominiali fino alla loro vendita, momento in cui avrebbero cominciato a partecipare alle spese “direttamente con i nuovi acquirenti”.

 

Il Tribunale, in motivazione, negava la contestata vessatorietà della clausola in esame escludendo l’applicabilità della disciplina dettata dagli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo in quanto non ancora in vigore al momento della stipulazione degli atti di acquisto da parte dei condomini.

 

Inoltre, il giudice di primo grado sottolineava come le clausole in esame fossero inserite in un contratto stipulato per atto pubblico e pertanto, pur se conformi alle condizioni poste da uno dei contraenti, non potessero essere considerate predisposte dal contraente medesimo in applicazione dell'articolo 1341 del Codice Civile: ne consegue che, anche se vessatorie, esse non richiedono una specifica approvazione.

 

Avverso la sentenza resa dal Tribunale, le parti soccombenti proponevano ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, denunciandone, inter alia, la nullità per violazione degli artt.1469-bis - 1469-sex/es c.c., ritenendo tali disposizioni comunque applicabili ratione temporis al caso di specie, e sottolineando come queste avessero un’identica portata precettiva rispetto alla disciplina dettata dal Codice del Consumo, nella parte in cui viene previsto che “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi del contratto”.

 

Nell’accogliere detto motivo di ricorso, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito la lettura interpretativa maggioritaria in materia, secondo cui, la clausola di esonero delle spese condominiali predisposta dal costruttore/venditore ed originario unico proprietario dell’edificio in sede di un regolamento contrattuale richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare deve ritenersi vessatoria e, dunque, nulla ai sensi dell’art. 33 comma 1 del Codice del Consumo.

 

E ciò, allorquando la natura abusiva della clausola sia contestata dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice in un procedimento in cui sono parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo, sempreché essa determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a carico del consumatore.

 

Nel caso di specie, prosegue la S.C il giudice di primo grado avrebbe dovuto a verificare nel merito se la clausola di esonero riguardasse contratti di vendita immobiliare conclusi tra un venditore professionista e un consumatore acquirente, e se potesse considerarsi vessatoria nei sensi e nei limiti di quanto precisato, non essendo dirimente che i contratti di vendita, oggetto di causa, fossero stati conclusi quando ancora non era vigente il Codice del Consumo posto che, all’epoca, era pur sempre applicabile l'art. 1469-bis del Codice Civile.

 

In ragione di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata in relazione - inter alia - alla censura accolta, rinviando la causa al Tribunale competente in persona di diverso magistrato.

 

In conclusione, nella pronuncia in esame il giudice di legittimità ha confermato l’eventuale applicabilità degli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo alla ripartizione delle spese predisposte dal costruttore/venditore o dall’originario proprietario del complesso immobiliare in quanto riconducibili all’esercizio della sua attività imprenditoriale o professionale, a condizione che all’acquirente possa essere riconosciuta la qualifica di consumatore.

 

Dall’applicazione della disciplina del Codice del Consumo, consegue la declaratoria di vessatorietà della clausola di esonero impugnata in tutti quei casi in cui gli oneri relativi alle cose comuni siano distribuiti tra tutti gli altri condomini determinando a loro carico uno squilibrio evidente degli obblighi derivanti dai contratti di vendita e, dunque, di tale intensità da far emergere il carattere abusivo della medesima.

 

Autore: Dott.ssa Francesca Rosa