Maternità surrogata

LA CEDU RITIENE LEGITTIMO IL DIVIETO DI TRASCRIZIONE AUTOMATICA DELL'ATTO DI NASCITA DEI FIGLI NATI ALL'ESTERO TRAMITE MATERNITA' SURROGATA

Non ledono il diritto alla vita privata e familiare le norme italiane che vietano la trascrizione degli atti di nascita dei bambini nati all’estero con la gestazione per altri, nei quali è indicato il genitore d’intenzione”. Così ha affermato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza n. 1079/12, emessa il 22 giugno 2023, ritenendo inammissibili tre istanze (n. 10810/20, n. 47998/20, n. 23142/21) presentate da coppie omossessuali ed eterosessuali che chiedevano la condanna dell’Italia per la violazione dell’articolo 8 della Cedu con cui viene sancito il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

In particolare, i ricorrenti contestavano il rifiuto opposto dalle Autorità italiane di trascrivere nei registri dell’anagrafe i certificati di nascita di minori nati all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata.  

In aperto dissenso dalle posizioni manifestate dagli istanti, i Giudici di Strasburgo, con la suddetta sentenza, hanno, invece, statuito che il divieto di trascrizione automatica di tali certificati non determina la violazione dell’articolo 8 della Cedu, in quanto al  c.d “genitore di intenzione”, come anche ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, rimane sempre aperta la possibilità di ricorrere all’istituito dell’adozione “in casi particolari” di cui all’articolo 44, lett. a) e d) della Legge 183/1984. In tal modo, a detta della Cedu, viene garantito il diritto del minore alla continuità del rapporto con il genitore d’intenzione (adottante).

Tale diniego costituisce un’ulteriore occasione mancata per l’Italia di intervenire a colmare il vuoto normativo riscontrabile in una materia così delicata, avente importanti riflessi sulla tutela dei diritti dei minori.

Come noto, la maternità surrogata è sanzionata penalmente nel nostro ordinamento dall’art. 12, comma 6, L. 40/2004 perché considerata lesiva della dignità della donna e contraria all’ordine pubblico. In ragione di tale divieto, moltissime coppie, in questi ultimi anni, hanno deciso di recarsi all’estero per avere la possibilità di avere figli mediante il ricorso a tale pratica, generando un intenso e problematico “turismo procreativo”.

Disomogenee sono le posizioni adottate dai vari Stati Europei in merito all’ammissibilità di tale pratica. Tali posizioni riflettono, a loro volta, una diversa sensibilità verso il concetto di ordine pubblico e, di conseguenza, di cosa possa essere considerato lesivo di tale principio. Quest’ultimo è infatti un concetto estremamente mutevole in ragione del tempo e del luogo in quanto si identifica con il nucleo di valori etico-sociali propri di ciascuna comunità nazionale.

Il caso di specie, sottoposto al sindacato della Corte di Strasburgo, origina proprio dal contrasto tra le diverse discipline adottate dalle normative nazionali su tale materia e dalla persistente inerzia del legislatore nel regolare la materia della trascrizione dei suddetti certificati di nascita. Pertanto, nel silenzio del legislatore, i giudici nazionali si trovano di fronte all’incertezza di come regolare gli effetti di pratiche ritenute illecite, come quella della maternità surrogata, effettuate lecitamente in Paesi in cui sono ammesse.

La Cedu, nel definire tale questione, non ha fatto altro che recepire l’orientamento ormai consolidato dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, la Corte di Cassazione, nell’inerzia del legislatore, con due significative sentenze (n.12193 del 2019; n. 38162 del 2022), ha ribadito che “poiché la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci”.

La Suprema Corte ha, poi, sottolineato che “l’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), L. 4 maggio 1983, n. 184”.

L’adozione in casi particolari, ad oggi, rappresenta, quindi, l’unico strumento che consente di dare riconoscimento al legame di fatto intercorrente tra il minore e il coniuge del genitore biologico che ha collaborato alla crescita e all’educazione del figlio sin dal momento della nascita. Tale istituto presuppone un giudizio caso per caso, alla luce degli interessi del minore, sulla idoneità dell’adottante ad essere titolare della potestà genitoriale, mediante una verifica in concreto del disegno genitoriale e della costante cura manifestata da quest’ultimo verso il bambino, senza alcun pregiudizio in merito al fatto che la coppia sia etero o omosessuale.

Come messo in luce anche dalla Consulta, è evidente che si tratta di una tutela inadeguata e insufficiente per il minore, contrastante con quelli che sono i principi fondamentali posti alla base del nostro ordinamento e di quello internazionale.

Tale forma di adozione, infatti, a differenza dell’adozione “piena”, rischia di creare una discrepanza tra la condizione del genitore biologico e quella del genitore c.d “di intenzione”, in virtù del fatto che l’adozione in casi particolari non comporta il sorgere di legami parentali rilevanti agli effetti della legge tra il bambino e i congiunti dell’adottante, presenta delle limitazioni nell’ambito dei diritti successori del figlio nei confronti del padre adottivo e, ad ogni modo, non garantisce quella tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione richiesta dalla Corte EDU a protezione esclusiva della condizione di vulnerabilità del minore.

Alla luce di quanto precede, al fine di evitare le paventate criticità con possibile e conseguente “deriva giurisprudenziale”, risulta impellente la necessità di un intervento del legislatore a protezione e tutela dei diritti sia dei figli sia dei genitori che abbiano deciso di ricorrere alla maternità surrogata.

di Dott.ssa Chiara Saso