La liquidazione del danno morale prescinde dalla quantificazione del danno biologico

Con la sentenza n. 811 del 20 gennaio del 2015, la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi del danno morale e, in particolare, dei criteri da utilizzare per la sua liquidazione. Il danno cosiddetto morale va ricondotto nell’alveo del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 del Codice Civile, e viene individuato nella intensa sofferenza patita dal danneggiato e nel relativo turbamento d’animo.

Sulla scorta dei principi resi nel corso degli anni dalla Suprema Corte, la lesione di interessi privi di rilevanza economica (danno non patrimoniale) risulta essere risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo la lettera dell'art. 2059 c.c., ma anche in tutti i casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Per quanto concerne il contenuto, invece, il danno non patrimoniale, pur costituendo una categoria unitaria, può consistere in pregiudizi di tipo diverso.

Si è soliti distinguere, infatti, il danno biologico, ovvero il danno all’integrità psico-fisica dell’individuo (danno alla salute), il danno esistenziale, inteso come qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana e, appunto, il danno morale, quale mero patema d’animo interiore. La pronuncia in esame ha nuovamente sancito e cristallizzato il principio secondo cui la liquidazione del danno morale può e deve prescindere da quella del danno biologico. In definitiva, il danno morale deve essere valutato in concreto, con riferimento al singolo caso esaminato, e in maniera autonoma, non essendo possibile una sua parametrazione al danno biologico.

Nello specifico, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento avanzata dai parenti di un motociclista deceduto in seguito a un sinistro stradale. Il ricorso era stato presentato dai familiari in quanto, atteso l’imminente decesso del centauro, i giudici di merito avevano accertato un danno biologico particolarmente lieve e, conseguentemente, liquidato in misura relativamente esigua il danno morale. Gli Ermellini, in proposito, hanno cassato la sentenza impugnata, affermando che, pur non essendo in linea generale illegittimo basarsi sulle risultanze relative al danno biologic, occorre tuttavia valutare la situazione caso per caso, poiché ricorrono numerosi casi in cui, pur non sussistendo un significativo danno biologico, sussiste invece un rilevante danno morale, ragione per la quale la valutazione del danno morale va operata caso per caso e senza che il danno biologico possa essere un riferimento assoluto; di conseguenza, nel caso esaminato, il giudice di merito avrebbe dovuto tenere conto dell’intensa sofferenza morale della vittima derivante dalla consapevolezza dell’incombere della propria fine.

La Suprema Corte è pervenuta a questa distinzione ontologica tra le due voci di danno, e come tali suscettibili di differente valutazione in sede di liquidazione, partendo dall’ovvio presupposto che trattasi di due distinte situazioni soggettive, ossia l’offesa alla dignità umana, garantita dagli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione (danno morale) e la lesione del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 (danno biologico). Detta distinzione ha trovato i suoi primi e fondamentali riferimenti giurisprudenziali nelle storiche sentenze di San Martino dell'11 novembre del 2008 con cui, in un caso analogo, le Sezioni Unite avevano già statuito che il danno morale o catastrofale è del tutto svincolato da quello propriamente biologico e postula una ben diversa valutazione sul piano equitativo.