L'in house providing, dalla giurisprudenza comunitaria al D.Lgs. 18 aprile 2016, n.50
- Published in Diritto24
- Authors: Mario Benedetti, Nicolò Maria Salvi
- Diritto Amministrativo
- Europa, Italia
Con l'espressione "in house providing" si fa riferimento all'istituto, nato nel diritto
giurisprudenziale comunitario, per cui un'Amministrazione aggiudicatrice dello Stato
possa, per lo svolgimento dei compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla
gestione di servizi pubblici, derogare alle regole della concorrenza per il mercato
decidendo di provvedervi in proprio, avvalendosi di una società esterna, ovvero di un
ente soggettivamente separato, che però presenti delle caratteristiche tali da poter
essere considerato alla stregua di una longa manus dell'Amministrazione stessa.
Tale istituto viene per la prima volta delineato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza
del 18 novembre 1999, causa C107/
98, relativa al caso Teckal: si sostiene, infatti, che
l'avvio di una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente non fosse
necessario ogniqualvolta, da una parte, l'Ente pubblico aggiudicatore esercitasse
sull'aggiudicatario quello che viene definito come un "controllo analogo" a quello
esercitato sui propri servizi e, dall'altra, contestualmente l'aggiudicatario svolgesse la
parte più importante della propria attività a favore dell'Ente locale che lo controlla.
Ciò trovava la sua giustificazione giuridica nella considerazione che, al ricorrere di tale
duplice condizione, era possibile considerare assente quella situazione di alterità tra
l'Amministrazione aggiudicatrice e l'ente aggiudicatario necessaria per il ricorso alle
procedure di evidenza pubblica.
Nella giurisprudenza comunitaria successiva alla sentenza Teckal non sono ovviamente
mancate le occasioni per delineare in maniera più approfondita i due requisiti per
l'affidamento in house.
Così, relativamente alla nozione di "controllo analogo", immediatamente inteso quale
controllo c.d. strutturale, i giudici comunitari hanno dapprima sostenuto che, affinché
sussistesse tale controllo, fosse sufficiente una partecipazione totalitaria
dell'Amministrazione di riferimento (Corte di Giustizia UE, 11 gennaio 2005, C26/
03,
caso Stadt Halle), salvo integrare in un secondo momento tale principio affermando la
necessità che l'Amministrazione, socio al 100%, avesse l'effettiva possibilità di
influenzarne sia le decisioni importanti sia, di conseguenza, gli obiettivi strategici della
società controllata (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, C458/
03, caso Parking
Brixen).
Con riferimento al requisito dello svolgimento dell'attività della società prevalentemente
a favore dell'Ente pubblico controllante i giudici di Strasburgo hanno invece chiarito che
con il concetto di attività prevalente o più importante si debba far riferimento alla
necessità che le prestazioni della società siano destinate in via principale
all'Amministrazione e che, viceversa, ogni altra attività di impresa abbia solo un mero
carattere marginale, promuovendo così una valutazione in concreto di tutte le
circostanze, sia qualitative che quantitative (Corte di Giustizia UE, 13 novembre 2008,
C340/
04, caso Carbotermo).
La previsione di tali caratteristiche ha comportato sul piano organizzativo una rilevante
deroga all'assetto societario disegnato dal codice civile tale da condurre alla
prospettazione di due diverse ricostruzioni relative alla natura giuridica delle società in
house.
Un primo orientamento, affermatosi in sede di giurisprudenza di legittimità, ritiene che
queste non siano dei veri e propri soggetti giuridici mancando, di fatto, il requisito
dell'alterità soggettiva rispetto all'Amministrazione pubblica: si evidenzia, infatti, come
ciò che davvero è difficile conciliare la configurazione della società di capitali, intesa
quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui
tramite essa stessa agisce, con la completa assenza di un potere decisionale suo proprio,
in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente
pubblico titolare della partecipazione sociale. Ne consegue che la società in house non
pare in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne
dispone come di una propria articolazione interna: essa altro non è che una longa
manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in
house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale
intersoggettivo (ex multis Cassazione civ., Sez. Unite, 25 novembre 2013, n. 26283).
Un secondo orientamento, invece, rileva come la società in house debba essere
considerata alla stregua di una vera e propria società di natura privata dotata di una sua
autonoma soggettività giuridica: ai sensi del primo comma dell'articolo 2331 c.c. con
l'iscrizione nel registro delle imprese la società acquista, infatti, personalità giuridica;
sussiste, pertanto, l'esigenza di tutelare i terzi ed i creditori che, instaurando rapporti
con la società, fanno legittimo affidamento sulla sua autonoma soggettività.
Proprio questa seconda impostazione sembra trovare una rispondenza nel recente
D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici ed in cui il
legislatore, recependo le Direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE,
disciplina anche l'istituto dell'in house providing.
Così l'articolo 5 del Codice dei contratti pubblici, riprendendo l'articolo 12 della
Direttiva n. 2014/24/UE in materia si appalti pubblici, stabilisce le condizioni che, se
soddisfatte, consentono l'affidamento in house: in tal senso si richiede anzitutto che
l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sul soggetto aggiudicatario un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi consistente nell'esercitare un'influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti; in secondo
luogo viene fissato un preciso limite percentuale, pari all'80%, idoneo a valutare la
sussistenza del requisito dell'attività prevalente nei confronti dell'Ente pubblico; viene
inoltre ribadita la necessaria totale partecipazione pubblica dell'Amministrazione di
riferimento, pur ammettendo la possibilità di configurare l'istituto dell'in house
providing anche in presenza di forme di partecipazione diretta di capitali privati, a
condizione che queste prescritte
dalle disposizioni legislative nazionali ed in
conformità dei Trattati non
consentano di esercitare un'influenza determinante sulla
società controllata.
L'articolo 177 del citato decreto sancisce invece l'obbligo per i soggetti pubblici o privati,
titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di
entrata in vigore del Codice, di affidare mediante procedura ad evidenza pubblica una
quota pari all'80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di
importo pari o superiore a 150.000,00 euro; solo la restante parte può essere realizzata
da società in house per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o
indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati. L'articolo 177 tuttavia non
prevede l'estensione dell'obbligo anche nei confronti di coloro che divengano titolari di
concessioni in un momento successivo all'entrata in vigore del Codice facendo invece
riferimento alle concessioni già in essere: non appare in tal senso semplice comprendere
se la mancata estensione dell'obbligo sia frutto di una ponderata scelta del legislatore di
scostarsi dalla legge delega o se, viceversa, si tratti di una mera svista.
Con l'articolo 192 del Codice è infine istituito presso l'ANAC un elenco delle
Amministrazioni aggiudicatrici e degli Enti aggiudicatori che operano mediante
affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'inscrizione avviene a
domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti di cui all'articolo 5, ed è
sufficiente la presentazione della domanda si iscrizione per consentire alle
Amministrazioni di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. La
norma in esame stabilisce inoltre l'obbligo di una preventiva valutazione della congruità
economica dell'offerta del soggetto in house, da effettuarsi avendo riguardo all'oggetto
ed al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di
affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la
collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di
universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di
ottimale impiego delle risorse pubbliche.