La commercializzazione di sim con servizi preimpostati a pagamento senza consenso

La commercializzazione di SIM con servizi preimpostati a pagamento senza consenso è una pratica commerciale sleale

Le pratiche consistenti nella commercializzazione di carte SIM sulle quali sono preimpostate e preattivate determinate funzionalità - come servizi di navigazione Internet e di segreteria telefonica - addebitate fintanto che non disattivate tramite espressa richiesta, e della cui esistenza e onerosità l'utente non sia stato previamente informato, costituiscono una pratica commerciale sleale, integrante la nozione di ‘‘fornitura non richiesta".

Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sez. II, sentenza 13 settembre 2018, cause riunite C-54/17 e C-55/17 

Il quadro normativo di riferimento si presenta composito, essendosi sedimentato in subiecta materia un coacervo di norme di diversa origine (sovranazionale e nazionale) e di difficile coordinamento. Rilevanza centrale riveste la direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno. 

La direttiva si propone di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori.

La direttiva si applica - vietandole - alle pratiche commerciali sleali, ossia quelle contrarie alle norme di diligenza professionale e che falsano, o sono idonee a falsare in misura rilevante, il comportamento economico dei consumatori, alterandone sensibilmente la capacità di prendere una decisione consapevole e pertanto inducendoli ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali ingannevoli o aggressive - per la cui compiuta definizione si rimanda agli artt. 6 e 7, 8 e 9 -, nonché tutte quelle pratiche commerciali da considerarsi in ogni caso sleali, indicate nell'allegato I, punto 29 della citata direttiva (art. 5).

Tra queste, figura la cosiddetta ‘‘fornitura non richiesta'', consistente nell'‘‘esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto […]''.

Del pari rilevante ai fini che qui interessano è l'articolo 3, paragrafo 4, della menzionata direttiva, che costituisce espressione del principio di specialità, disponendo che: ‘‘In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme [dell'Unione]che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici''.

Per ciò che invece più nello specifico involge la disciplina dei servizi e delle reti di comunicazione elettronica, particolare importanza riveste la direttiva 2002/21/CE - cosiddetta direttiva quadro - che, oltre ad istituire un quadro normativo armonizzato, definisce le funzioni da attribuirsi alle autorità nazionali di regolamentazione (ARN), vale a dire ‘‘l'organismo o gli organismi incaricati da uno Stato membro di svolgere le funzioni di regolamentazione fissate dalla presente direttiva (quadro) e dalle direttive particolari'', tra cui rientra la direttiva 2002/22/CE cosiddetta ‘‘servizio universale''- relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica -.

L'articolo 21 della direttiva particolare prevede l'assunzione dell'impegno da parte degli Stati membri a che le ARN possano imporre alle imprese che forniscono reti pubbliche di

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