Luci e ombre del TTIP: è la disinformazione a generare le proteste?

In quello che potrebbe essere l’anno decisivo per il Transatlantic Trade and Investment Partnership, molti – forse troppi – sono ancora i dubbi, i fraintendimenti e gli interrogativi che lo riguardano. Lo si deve, in parte, al modo in cui le trattative hanno preso il via, in sordina, un paio di anni fa, in parte, al modo in cui tuttora esse vengono condotte, quasi volutamente nell’ombra.

La rilevanza del tema avrebbe invece richiesto molta più trasparenza e, se vogliamo, molta più chiarezza, sì da mettere qualunque soggetto nella condizione di poter comprendere appieno le implicazioni ed i risvolti dell’eventuale stipula di un simile accordo, che invero sarebbero molteplici ed evidenti anche nel quotidiano di ognuno di noi.

Così non è stato, almeno fino al più recente impegno della Commissione Europea (ben visibile anche dal sito cui si rimanda http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/index_it.htm), ed allora il trattato ne paga il prezzo, scontando le critiche e le non poche proteste dell’opinione pubblica.

“A volte sono le istituzioni stesse – d’altronde – a creare un clima di sospetto”. Lo afferma il mediatore europeo Emily O’Reilly, il quale prosegue facendo notare che una delle prime cose che ha detto “quando si è cominciato a parlare di Ttip è stato di pubblicare il mandato negoziale, ma per riuscire a farlo c’è voluto molto tempo. Quando queste cose non vengono fatte fin dall’inizio – secondo il mediatore – la gente si chiede perché e crede che ci sia qualcosa dietro”.

 

Essendo il TTIP un trattato di libero scambio tra Stati Uniti d’America ed Unione Europea volto alla creazione di una “free zone” di merci e servizi (sia rimuovendo i dazi doganali che superando le c.d. “barriere non tariffarie” – i regolamenti e le direttive divergenti tra le due sponde dell’Atlantico) ed all’armonizzazione, dunque, per interi settori economici, le polemiche cui si faceva cenno, non potevano che essere incentrate sul timore di un vero e proprio sopravvento degli USA, e della loro potenza, sul mercato europeo.

Secondo Timmermans (intervenuto alla conferenza “Is Brussels the new Washington, D.C.? Lobbing transparency in the Eu” organizzata a Bruxelles da O’Reilly), invece, “anche l’Europa ha una voce molto forte perché si tratta del più grande spazio commerciale al mondo” e “non ha senso pensare che gli americani decideranno tutto, perché non è così che si svolgono i negoziati”.

 

Le preoccupazioni dei cittadini europei però non finiscono qui: vi è da un lato il timore che, con l’adozione del trattato, si vadano ad affievolire le protezioni garantite dall’architettura regolamentare europea e si vada quindi a stravolgere ogni norma di tutela dei consumatori; secondo gli scettici, d’altronde, sarebbe l’Europa a dover modificare le sue leggi, indubbiamente più rigide di quelle americane.

Dall’altro, c’è la non trascurabile preoccupazione che con la conclusione dell’accordo si vada ad aumentare il potere delle aziende nei confronti delle istituzioni, tanto è vero che uno dei punti più dibattuti riguarda proprio l’”Investor of State Dispute Settlement” (Isds), una clausola per la risoluzione delle controversie tra Stati e aziende che, pensata per proteggere gli investimenti delle imprese private che lavorano in terra straniera e presente in oltre 1.400 trattati bilaterali, ha spesso portato le imprese a citare in giudizio interi Paesi e Governi.

 

Ad ogni modo, dal punto di vista economico, l’adozione del trattato dovrebbe determinare, secondo il Centre for economic policy research di Londra, una crescita di 90 miliardi di Euro per l’economia USA e di 120 miliardi di Euro per quella europea, pari allo 0,5% del Pil (salva la successiva rettifica di un collaboratore dell’istituto stesso, prof. Alan Winters, secondo cui le stime più plausibili farebbero pensare ad un incremento dello 0,025% del Pil continentale).

Matteo Renzi, dal canto suo, ha confermato il sostegno del Governo Italiano al TTIP, ritenendolo non un semplice accordo commerciale come altri, ma “una scelta strategica e culturale per l’UE”.

L’accordo però dovrà essere ratificato dal Parlamento Europeo che, al riguardo, continua ad esser diviso: si sta lavorando ad un documento che dovrà esprimere la posizione più o meno unitaria dell’Assemblea nei confronti del negoziato, ma non è ancora detto che le difficoltose trattative si concludano con una accordo, né può ritenersi scontata la posizione del Parlamento UE chiamato a ratificarlo.

 

D’altra parte poi non è da sottovalutarsi la scottante bocciatura appena ricevuta da Obama in una delle priorità del suo mandato: gli accordi di libero scambio con l’Europa (TTIP), appunto, e con altri partner commerciali tra America, Asia ed Oceania (Tpp).

La lotta interna al partito democratico ha infatti portato al voto negativo del Senato Usa sull’istituzione di un’autorità negoziale speciale (la Trade Promotion Authority – Tpa) che avrebbe permesso al Presidente di gestire i negoziati in maniera autonoma e indipendente, lasciando al Congresso soltanto il potere di approvare o rigettare in blocco l’accordo finale, così come avviene in Europa dove il Parlamento non ha il potere di emendare l’eventuale accordo raggiunto, ma solo quello di esprimersi positivamente o negativamente in merito.

Questa sorta di tradimento da parte dei suoi stessi compagni di partito, potrebbe costringere Obama ad apportare delle modifiche nelle bozze di accordo, modifiche che però potrebbero, se non altro, minare la credibilità dell’accordo agli occhi delle controparti.