Legali in attesa dei parametri. Ma nella determinazione dei compensi gli studi fan da soli

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L’abrogazione delle «vecchie» tariffe forensi, sostituite con i parametri dettati dal D.M. 140/2012, resta ancora lettera morta. A due mesi dal parere positivo del Consiglio di stato allo schema di d.m, sui nuovi parametri forensi il testo rimane al vaglio della Corte dei conti per le valutazioni sulla sostenibilità finanziaria e a quello del Parlamento per i rispettivi pareri non vincolanti, prima della definitiva entrata in vigore.
Una latenza che getta dubbi sul futuro della disciplina.
Intanto il problema dei compensi rimane e ha inciso non poco sull’attività degli studi legali, in particolare con riferimento all’attività giudiziale, sotto due distinti profili.
«In primo luogo, la nuova modalità di calcolo dei compensi ha comportato una variazione in senso negativo degli importi liquidabili in sede giudiziale », dice Marina Santarelli, partner di Pavia e Ansaldo, responsabile del Dipartimento contenzioso ed arbitrati. «Le attività, una volta analiticamente contemplate, sono ora suddivise in sole cinque macro fasi, cui corrispondono gli importi liquidabili in misura diversa a seconda dello scaglione di valore della causa. Ne consegue, nella prospettiva della condanna alla spese della parte soccombente, che tale rivisitazione in negativo, allarga la forbice tra quanto un cliente si è impegnato a riconoscere al professionista e quanto può in ipotesi recuperare dalla controparte, soprattutto per le cause di valore non particolarmente elevato, ma al tempo stesso complesse sotto il profilo fattuale o per le questioni trattate».
Secondo Stefano Previti, partner dello Studio Previti Associazione Professionale, le ‘tabelle’ introdotte dal d.m. 140 del 2012 «concernono esclusivamente la liquidazione del compenso da parte del giudice. Esse non si applicano, invece, nel caso in cui avvocato e cliente concordino la misura del compenso, che, alla luce della soppressione del tariffario, è interamente rimessa alla libera contrattazione tra le parti. Le tabelle in questione stanno creando notevoli disagi alla professione forense. Ciò per due principali ragioni: in primo luogo, i parametri ivi stabiliti non appaiono adeguati alla qualità dell’attività svolta; in secondo luogo, le tabelle, come confermato dalla Cassazione, sono retroattive, dovendo essere applicate dal giudice anche alle prestazioni professionali che risultino iniziate, ma non ancora terminate, alla data di entrata in vigore del decreto ».
Per questi incarichi, è necessario concordare con il cliente un compenso complessivo, che tenga conto a posteriori anche dell’attività svolta prima dell’abolizione.
Tuttavia, sussiste il rischio che, ove non si raggiunga un accordo, il cliente possa chiedere l’applicazione retroattiva dei parametri previsti nel decreto. «Peraltro», conclude Previti, «il quadro è destinato ancora a mutare per effetto dell’emanazione del nuovo decreto ministeriale sui compensi dell’avvocato, attualmente in corso di approvazione, da applicarsi, in sostituzione del decreto del 2012, in caso di mancato accordo tra avvocato e cliente. Stando a quanto si evince dall’ultima bozza di decreto licenziata, esso dovrebbe determinare un innalzamento dei parametri di quantificazione». Per Mario Benedetti, partner Studio legale BLB, «la sua applicabilità anche ai rapporti in corso lede, infatti, la legittima aspettativa creditoria di chi ha stipulato un contratto di lavoro avente diverse condizioni economico retributive. È del tutto verosimile e legittimo, essendo il prezzo un elemento essenziale del contratto, che questo soggetto non avrebbe accettato l’offerta a condizioni diverse da quelle pattuite. In aggiunta si rileva che nel rapporto tra privati il contratto è modificabile solo con l’esplicito consenso di entrambe le parti, in questo caso l’Amministrazione modifica un fondamentale inaudita altera parte».
Infine, secondo Maurizio Zoppolato, socio dello Studio Zoppolato e Associati di Milano e componente del direttivo della Società Lombarda Avvocati Amministrativisti (Solom) «solo per l’ipotesi in cui sia necessaria la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale è invece contemplato l’impiego di parametri stabiliti con decreto ministeriale; laddove, nel mondo degli avvocati, la liquidazione del giudice si rende necessaria principalmente in due casi: quando tra avvocato e cliente il compenso non sia stato pattuito (o sia contestato per ragioni sopravvenute, ad esempio il cliente contesti la negligenza del professionista) e quando il giudice, nel decidere una causa, debba quantificare le spese legali a carico della parte soccombente. Fuori da questi due ambiti, dunque, la terminazione dei corrispettivi per l’avvocato rimane affidata alle parti, ed in particolare al compenso pattuito al momento dell’incarico»