SANCITA LA NULLITÀ DEI DERIVATI STIPULATI DAGLI ENTI PUBBLICI

La Corte di Cassazione – con recente pronuncia a Sezioni Unite del 12.05.2020, n. 8770, esprimendosi in materia di contratti derivati, con specifico riferimento a quelli conclusi nel comparto pubblico, ha statuito la nullità dei succitati contratti - nella specie i cc.dd. Swap - la cui stipula sia avvenuta da parte dell’Ente locale in questione fino all’anno 2013, prima che la disciplina divenisse più rigorosa per i Comuni intenzionati ad avvalersene, in ragione dell’impiego sempre più massiccio di tali strumenti finanziari derivati da parte di Enti pubblici, in particolare territoriali.

 

1. Cosa sono gli Swap?

In via preliminare, è utile fare luce su cosa si intenda per Swap. In finanza, si tratta di operazioni le quali appartengono al più ampio genus degli strumenti derivati, che si sostanziano nello scambio di flussi monetari in entrata o in uscita tra due controparti, definiti in relazione ad attività finanziarie sottostanti e con il vincolo di compiere in futuro l’operazione finanziaria di senso inverso. Si annovera tra gli strumenti di copertura dei rischi più sofisticati, di uso prevalente in ambito bancario, imprenditoriale e persino dagli Enti di natura pubblica.

Si tratta di negozi a causa variabile in grado, dunque, di svolgere sia finalità assicurative sia quelle di copertura di rischi; ne consegue che la funzione perseguita, di volta in volta, dall’affare vada precisata analizzando il caso concreto. In assenza di una adeguata identificazione causale, l’affare in questione sarà connotato da una incertezza di fondo che – come statuito dalla S.C. – renderà nullo il relativo contratto stante l’assenza di una forma causale distinta e definita o definibile.

Oggetto della sentenza in commento, in particolare, è la forma di Swap più nota, ossia il c.d. Interest Rate Swap (IRS) o altrimenti noto in gergo finanziario come “plain vanilla”.  L’IRS – secondo quanto riporta la stessa Corte di cassazione – è definito come derivato over the counter (OTC): un contratto i cui elementi essenziali sono dati dalle parti ed il cui contenuto non è etero regolamentato – come accade per i derivati standardizzati o uniformi – in quanto prodotto customizzato in base alle esigenze del cliente; contratto non destinato alla circolazione e, dunque, caratterizzato della non negoziabilità, e in cui l’intermediario finanziario è controparte diretta rispetto al cliente nella sottoscrizione del contratto.

2. Disciplina normativa

Brevi cenni alla cornice normativa entro cui la S.C. ha svolto la propria funzione di nomofilachia. Pur in assenza di una definizione unitaria di “contratto derivato” nel nostro ordinamento giuridico, è utile chiarire che con strumenti finanziari derivati si intendono quelle operazioni finanziarie il cui valore dipende dall’ andamento dell’attività sottostante (Underlying Asset), la quale può avere sia natura finanziaria che natura reale.

Il D. Lgs. del 28 febbraio 1998, n. 58, recante il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), offre un’elencazione non esaustiva di alcune forme in cui possono manifestarsi tali strumenti.

A livello europeo, è utile richiamare lo European Market Infrastructure Regulation – Regolamento EMIR - Regolamento UE n. 648/2012, il quale per primo ha tracciato una cornice comune europea in tema di derivati negoziati al di fuori dai mercati regolamentati, al fine di ridurne i rischi ad essi correlati, oltre che il Regolamento comunitario n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari (MiFIR).

In seguito, il legislatore ha proceduto a riformare la materia dettando una disciplina più dettagliata e stringente, limitando l’emissione dei derivati entro limiti prestabiliti: la legge finanziaria 2007 - L. del 29 dicembre 2006, n. 296 - e quella del 2008 - L del 24 dicembre 2007, n. 244 - hanno timidamente iniziato a limitare l’utilizzo di tali derivati per Regioni ed Enti locali e sottoposto la sottoscrizione di tali contratti alla massima trasparenza.

Successivamente, il D.L. del 26 giugno 2009, n. 78, all’ articolo 17, comma 32, ha specificamente concesso a Lazio, Campania, Molise e Sicilia - in ipotesi di eccezionali condizioni per l’economia e per i mercati finanziari – di procedere alla ristrutturazione delle operazioni aventi ad oggetto derivati.

La disciplina è stata ulteriormente innovata e riorganizzata per effetto delle norme contenute nella L n. 147/2013, la c.d. legge di stabilità 2014, la quale all’art. 1, comma 572, ha statuito il divieto di sottoscrizione di tali strumenti, reso permanente per gli Enti locali - fatte salve alcune eccezioni espressamente previste ex lege - a pena di nullità eccepibile unicamente da parte dell’Ente.

Infine, a partire dal 24 aprile 2014 - ai sensi dell'articolo 45 del D.L. n. 66/2014, così come modificato dal D.L. n. 78 del 2015 – per le Regioni è possibile, a determinate condizioni, ristrutturare in parte il loro debito; ciò allo scopo di ridurre le spese per interessi e agevolare le posizioni in derivati.

3. La Suprema Corte a Sezioni Unite: nullità dei contratti derivati conclusi dagli Enti   locali

Tornando alla sentenza n. 8770/2020, la Corte di Cassazione - dopo un breve excursus circa l’evoluzione storico-normativa dell’iter di tipizzazione di detti contratti - ha riconosciuto il seguente principio di diritto: «Il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente sino al 2013 - quando la l. n. 147 del 2013 ne ha escluso la possibilità - e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l’ente locale potesse dirsi legittimato a procedere allo loro stipula; nondimeno, tale stipula poteva utilmente ed efficacemente avvenire solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market, sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio».

Il punto focale di disamina da parte delle Sezioni Unite ha riguardato la possibilità di qualificare l'assunzione dell'impegno dell’Ente territoriale che stipuli il contratto avente ad oggetto il suindicato derivato come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall’investiment.

Come osservato dalla Corte, i contratti derivati, in quanto aleatori, sarebbero già di per sé non stipulabili dalla P.A., giacché l'aleatorietà rappresenterebbe una forte distonia nell’ambito delle regole di contabilità pubblica, introducendo indebitamente «variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa».

L’aspetto certamente più dirompente della sentenza in commento riguarda specificamente i mutui sottostanti nei contratti di Swap e la nullità di questi ultimi, per difetto di causa e di oggetto.

In particolare, il giudice nomofilattico ha rilevato quattro motivi di nullità dei contratti derivati c.d. Swap stipulati dagli Enti locali che seguono:

 

§  Nei derivati di tipo OTC l’indeterminabilità dell’oggetto, di fatto, impedisce al Comune un adeguato assessment del rischio dell’operazione e determina il vizio di nullità del contratto.

§  La causa variabile del contratto derivato, la quale può assumere, come anticipato, finalità assicurative e di copertura del rischio si risolve in indefinitezza della causa del relativo contratto - di natura puramente speculativa - nonché in assenza di meritevolezza del contratto medesimo, comportando, dunque, l’inosservanza dell’art. 1322 c.c. e la nullità del contratto.

§  La posizione in conflitto d'interessi dell'intermediario finanziario, al contempo, consulente del Comune e offerente del prodotto finanziario derivato.

§  La S.C. conclude, infine, qualificando l’impegno del Comune che sottoscrive i derivati, sottolineando che i contratti di Swap in esame, poiché incidono sull’indebitamento pluriennale dell’Ente territoriale, necessitano dell’autorizzazione – a pena di nullità – per la loro stipula da parte del Consiglio comunale ex art. 42, comma II, lettera i) TUEL (D. Lgs. n. 267/2000), «specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi in cui la sua negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita», tenuto conto, altresì, della necessaria assegnazione della stipula mediante procedura di gara pubblica.

 

 

 

4. Conclusioni

Si tratta, dunque, di una sentenza destinata a travolgere l’intero sistema di gestione del debito dei Comuni, incidendo sulle operazioni di indebitamento finanziario e, più in generale, sull’esposizione debitoria degli Enti pubblici.

Nonostante ciò, in relazione all’ammissibilità di stipula di contratti derivanti in ambito di comparto pubblico, permangono forti dubbi connessi alla gestione, da parte di Enti Pubblici, di strumenti finanziari complessi e di lunga durata quali gli Swap; l'opportunità per i Comuni di utilizzare detti strumenti a copertura del debito; le caratteristiche insite in tali contratti - tra cui lunga durata, e alta rischiosità. In conclusione, al di là della sentenza di storica portata, sarà necessario elaborare un piano strategico per la gestione sostenibile dei derivati delle Pubbliche Amministrazioni.