Blockchain e annullamento contrattuale. Spunti di discussione.

  • lunedì 18 giugno 2018

Il diritto italiano delle obbligazioni e dei contratti prevede l’ipotesi patologica dell’annullabilità della pattuizione nel caso in cui il contratto si sia formato su un consenso viziato (da dolo, errore o violenza) o quando sia stato concluso da soggetto incapace di contrattare (tipicamente, un minore, o una persona incapace di intendere o volere).  Altro rimedio ad una situazione nata patologica è l’azione di rescissione, ammessa nel caso in cui il contratto sia stato concluso in stato di pericolo o con sproporzione tra le avverse prestazioni che sia dipesa dallo stato di bisogno di una delle parti contraenti. Questo, in brevissimo e senza indulgere, poiché qui non immediatamente utile, nei caratteri specifici delle fattispecie e delle azioni.

Ora, gli smart contract sono rappresentazioni in codice informatico eseguibile, di pattuizioni assunte da soggetti che tale codice creano (e quindi umani o – senza neanche dover correre troppo con il pensiero e con gli esempi – macchine, intelligenti o meno, a loro volta appositamente programmate). Il parallelismo è suppergiù quello che può valere per il binomio contratto in forma orale – contratto in forma scritta: il secondo ha un vantaggio rispetto al primo, ossia il suo contenuto è definito in un documento scritto e non lasciato alla sfera dell’oralità.

Ciò vuol dire che, pur non essendo tali rappresentazioni altro se non parti di un contratto (o, meglio, uno strumento per mettere per iscritto le diverse pattuizioni con linguaggio auto-eseguibile, ossia in grado di condurre, senza intermediazioni, al risultato prefigurato dai contraenti), non potranno che dover subire le vicende del contratto cui si riferiscono (o che sono, a seconda di quale punto di vista in materia si sposi).

Pertanto, quid iuris di uno smart contract che, sottoposto al diritto italiano, meriti di essere annullato o rescisso? Le parti dovranno/potranno rivolgersi all’autorità giudiziaria per conseguire il risultato desiderato e giusto; ma come dovrà comportarsi il giudice nei confronti dell’operazione informatica che, tratta su blockchain, non sia programmata per interrompere i propri effetti su istanza di terzi? Sotto altra angolazione: cosa avviene quando un contratto viene rescisso, o annullato, da un giudizio (magari passato in giudicato) ma gli effetti o, meglio, le prestazioni dello stesso non siano tecnicamente ritrattabili, o interrompibili? Si risponderà: le parti dovranno adempiere all’ordine, e ciò è vero.

Ma, se questo è vero, è vero anche che (a) il contratto, in fase patologica, non basta a se stesso, nemmeno quando sia smartcontract-enhanced: avrà sempre necessità di un soggetto terzo che ne determini le azioni e (b) non è astrattamente possibile prevedere, nel codice dello smart contract, ogni variabile immaginabile, a meno di non voler compilare una libreria infinita di opzioni le quali, comunque, andrebbero azionate da chi sullo smart contract abbia potere di azione, quindi non il giudice. O sì?

Qui si apre l’altra questione importante, ossia quella relativa alla giurisdizione applicabile a controversie che riguardino contratti eseguiti su un registro distribuito, quale la blockchain. Ed è per questo che forse le blockchain private – per quanto da taluno definite quasi delle contraddizioni in termini – possono essere una soluzione utile, in quanto sottoposte a veri e propri termini e condizioni di utilizzo. In un sistema definito ed in cui la fiducia degli operatori sarà data dal fatto di essere “un circolo privato e di simili”, quale una blockchain privata potrà essere – esempi di questo tipo sono in piena fase di implementazione nei settori più sensibili del business, quale l’energy, o il banking, o l’insurance – si potrà immaginare un metodo di comunicazione di decisioni esterne all’interno della blockchain, a mo’ di oracoli che influenzino anche a posteriori dei contract appositamente programmati per essere sottoposti a dette vicende, esterne ma prevedibili. Il tema apre sicuramente le porte, se non alla giustizia ordinaria, ad arbitrati ed ADR nati in seno all’environment di riferimento. Soluzioni, queste, tutto sommato semplici, almeno nella logica. La vera sfida sarà portare la “vera” e “prima” blockchain, permissionless, ad un utilizzo che possa essere consentito e gestibile, e quindi sicuro e tutelabile, anche nei suoi sviluppi ed incroci con la giustizia amministrata, con cui (ancora) permane l’obbligo di relazionarsi e misurarsi.

 

Donato Silvano Lorusso, Nicolino Gentile