Blockchain: problematiche di carattere internazionale

Nonostante il significativo livello di consensi che le più svariate potenzialità applicative della tecnologia blockchain hanno già riscontrato a livello istituzionale, nessun ordinamento ha finora provveduto ad una completa regolamentazione del fenomeno.

Nella maggior parte degli stati si registrano infatti interventi legislativi orientati a disciplinarne soltanto alcune applicazioni. L’unica eccezione in tal senso è rappresentata da Malta, che ha provveduto di recente a fornire di una regolamentazione organica l’intero comparto blockchain, con inclusione delle criptovalute e delle Initial Coin Offering (in seguito: ICO).

Nella maggior parte dei paesi in cui si registrano interventi la regolazione ha però carattere parziale e solamente di rado viene predisposta a livello normativo. Molto più frequente è invece il caso in cui siano autorità di natura giudiziaria o amministrativa ad intervenire sul punto, fornendo chiarimenti o delineando linee guida o policy. Tuttavia, la tipologia di intervento da ultimo delineata, pur orientata a colmare la lacuna normativa rischia invece di determinare ulteriori incertezze per gli operatori del comparto blockchain. In particolare, è ben possibile che, sulla falsariga di quanto avvenuto in Italia riguardo alle criptovalute, il sovrapporsi di pronunce dal contenuto difforme e di carattere settoriale finisca per alimentare ulteriormente l’incertezza vigente nel settore. 

La situazione appare ancor più complessa in ragione della spiccata attitudine della tecnologia blockchain a varcare i confini nazionali. Non a caso, quello di decentramento è un concetto chiave per tale tecnologia. Da un lato, il termine è certamente riferibile a quell’idea di democrazia che rappresenta la filosofia che si pone alla base della tecnologia blockchain. Dall’altro, e per quanto maggiormente interessa ai nostri fini, il concetto è descrittivo della struttura del registro che, per sua natura, non solo è immateriale ma si compone di nodi localizzati (o, per meglio dire, localizzabili) in aree diverse del globo.

Proprio in ragione della decentralizzazione del registro e della conseguente diversa localizzazione dei nodi di cui si compone, la blockchain si presta a determinare problematiche di sicuro interesse sotto il profilo del diritto internazionale. Oltretutto, moltissime applicazioni della tecnologia in parola (si pensi a smart contract ed ICO), incentivano la realizzazione di rapporti fra parti domiciliate in paesi diversi.

Eppure, nonostante la spiccata attitudine internazionale della blockchain sia di tutta evidenza, al momento vige la più assoluta incertezza circa criteri di collegamento e conflitti di norme suscettibili di trovare applicazione in materia. Tale problematica assurge a centralità nel processo di identificazione a priori delle norme di diritto internazionale privato applicabili al comparto blockchain anche in considerazione dell’estrema duttilità della tecnologia stessa che, proprio per tale ragione, si presta ad essere utilizzata ed implementata nell’ambito di tipologie di rapporti anche molto diversi tra loro.

Ebbene, non può evitare di sottolinearsi come tale circostanza appaia del tutto ostativa ad un’applicazione generale del parametro al criterio di collegamento che pur di derivazione svizzera è ormai divenuto criterio di collegamento cardine nell’impianto di diritto internazionale privato dell’Unione Europea. In altri termini, proprio in ragione della diversità di transazioni suscettibili di estrinsecarsi sulla catena, la prestazione caratteristica dovrà semmai individuarsi con riferimento ad uno specifico rapporto a cui sia dato corso su una particolare applicazione della blockchain, non essendo, invece, possibile provvedere all’individuazione di una prestazione caratteristica di carattere fisso e valevole per tutte le applicazioni della blockchain.

Peraltro, il criterio di collegamento in discorso appare comunque fondarsi su un elemento, quale quello del domicilio delle parti, al cui accertamento, in ambito blockchain, non sembra possibile provvedere in maniera agevole. In particolare, l’utilizzazione di strumenti crittografici sulla catena, fa sì che le singole transazioni ivi avvenute o registrate, non siano immediatamente ascrivibili a soggetti determinati. Ne deriva che il singolo partecipante dell’applicazione non potrà conoscere le, né risalire alle, identità degli altri soggetti.

Nel diritto internazionale, la blockchain pone problematiche tanto sotto il profilo della giurisdizione che della legge applicabile. Eppure, tali criticità potrebbero ben trovare soluzione in un principio che nello schema del diritto internazionale privato di stampo UE è ad esse comune: il principio di libertà delle parti.

Proprio la possibilità che le parti provvedano a determinare in maniera libera tanto la legge regolatrice del proprio rapporto quanto il foro competente a pronunciarsi sullo stesso, sembra essere al momento l'unica soluzione percorribile. Tuttavia, quantomeno in Europa la sopra descritta autonomia delle parti non ha carattere assoluto, incontrando invece taluni limiti.  Di conseguenza, le certezze fornite dalla soluzione in parola, verrebbero a cadere ogniqualvolta uno dei poli del rapporto eseguito su blockchain sia rappresentato da un contraente debole. In tali ipotesi infatti, l'autonomia delle parti incontra alcuna limitazioni.

In via del tutto esemplificativa può considerarsi l'ipotesi in cui la blockchain coinvolga o dia esecuzione a rapporti di lavoro. Orbene, nel caso dei rapporti di lavoro il concetto di autonomia delle parti ha efficacia differente rispetto alla disciplina normale tanto in ambito di giurisdizione che di legge regolatrice del rapporto.

Nello specifico, secondo quanto disposto dall'articolo 20 del Regolamento Brussels I-bis, il foro convenzionalmente eletto dalle parti, in deroga alla regola generale (art. 25), non avrà carattere esclusivo. Salvo il caso di accordo concluso a seguito dell’insorgere della controversia, l'efficacia della scelta delle parti è infatti limitata alla predisposizione di un foro di carattere solamente alternativo ed azionabile unicamente dal lavoratore.

Anche sotto il profilo della legge applicabile, la scelta convenzionale ha efficacia ridotta poiché non permette la deroga alle norme di applicazione necessaria e di ordine pubblico relative alla legge che risulterebbe applicabile in regione dei conflitti di legge di cui ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 8 del Regolamento Roma I. Tali disposizioni troveranno quindi applicazione indipendentemente dalla scelta operata dalle parti.

Quelle sopra riferite rappresentano soltanto alcuni dei meccanismi di protezione suscettibili di ergersi a limitazione dell’operatività del principio di autonomia delle parti all’interno del sistema di diritto internazionale privato dell’Unione. Altra posizione meritevole di tutela attiene, tra le altre quella di consumatore.

Da quanto sinora argomentato emerge come le soluzioni offerte dal diritto privato di matrice Europea non appaiano del tutto idonee a fornire a coloro che partecipino ad applicazioni blockchain soluzioni in grado di garantire un livello di certezza apprezzabile con riguardo a legge applicabile e foro competente. Come si è già avuto modo di osservare è infatti possibile, ed ancor più probabile, che i nominativi dei partecipanti alla catena non siano noti con la conseguenza che non apparirebbe possibile nemmeno conoscerne il domicilio.

Una soluzione può identificarsi nel principio di libertà contrattuale rimettendo alle parti la scelta della legge regolatrice del rapporto e del foro avente giurisdizione sullo stesso. Tuttavia, come si è già avuto modo di sottolineare, tale soluzione non sembra essere soddisfacente ove il rapporto sia partecipato da parti ritenute contraenti deboli.

In conclusione, avuto riguardo alle problematiche sopraesposte, sembrerebbe preferibile che la regolamentazione dei rapporti tra i partecipanti alle applicazioni blockchain avvenisse per il tramite di una normativa di carattere sovranazionale. La redazione di una normativa specifica e di carattere internazionale, garantirebbe infatti una maggiore certezza ai partecipanti sotto il profilo delle regole applicabili ai propri rapporti. Tuttavia, avuto riguardo all’empasse che la regolamentazione del fenomeno sta riscontrando a livello nazionalità e del sospetto che alcune istituzioni nazionali, e non, hanno già manifestato nei confronti di alcune delle possibili applicazioni della blockchain, la soluzione proposta sembra tutt’altro che prossima.

di Donato Silvano Lorusso, Nicolino Gentile e Iacopo De Totero