La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’UE sul trasferimento della sede legale in altro SM

Recentemente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha avuto occasione di tornare sulla legittimità rispetto al diritto europeo dei limiti imposti dagli ordinamenti nazionali alla libertà di stabilimento delle persone giuridiche. La decisione, resa lo scorso 25 ottobre nell’ambito del giudizio C-106/16 si aggiunge alle già numerose pronunce sull’estensione della libertà di stabilimento (ex artt. 49 e 54 TFUE) per le società. In particolare, la corte ha dovuto determinare se il trasferimento della sede legale in altro stato dell’Unione Europea, ricada sotto la protezione disposta dai Trattati anche ove non si verifichi il contestuale spostamento della sede effettiva della società.

Nel caso di specie l’assemblea dei soci di una società polacca, deliberava il trasferimento della sede legale dalla Polonia al Lussemburgo. Il cambiamento di sede era poi completato con l’iscrizione della società nel registro delle imprese del Lussemburgo. Al momento della presentazione della richiesta di cancellazione dal registro delle imprese polacco però l’autorità giudiziaria nazionale invitava la società a produrre documentazione attestante, tra l’altro, l’avvenuta messa in liquidazione della società.

Seguiva una replica in cui la società chiariva che la cancellazione era richiesta per il semplice trasferimento della sede e che la società non sarebbe cessata, ma avrebbe semplicemente continuato ad esistere come società di diritto lussemburghese. Ciononostante, il giudice del registro rigettava l’istanza di cancellazione in ragione della mancata produzione della richiesta documentazione.

La questione giungeva poi davanti alla Corte Suprema Polacca che con rinvio pregiudiziale chiedeva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di determinare se il rifiuto delle autorità polacche, pur legittimo in ragione della normativa nazionale, dovesse ritenersi in contrasto con il principio della libertà di stabilimento.

Deve notarsi che qualsiasi provvedimento che vieti, ostacoli o, più semplicemente, renda meno attraente l’esercizio del diritto di stabilimento è, per consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia,  da ritenersi restrittivo di tale libertà. Ciononostante, le restrizioni da parte degli stati membri sono comunque ammesse a patto che esse trovino giustificazione in motivi imperativi di interesse generale e risultino idonee a garantire il perseguimento dello scopo senza eccedere quanto necessario per raggiungerlo.

Nel caso in questione, l’obbligo di cui alla normativa polacca di porre la società in liquidazione, pur fondato sulla necessità di evitare un esercizio abusivo della libertà di stabilimento e di approntare strumenti di tutela per i creditori sociali, non rispettava il prescritto principio di proporzionalità. Di conseguenza le limitazioni all’esercizio del diritto di origine comunitario si rivelavano illegittime.

Infine, con la decisione in commento, la corte, non solo chiarisce che il trasferimento della sede legale da uno stato membro all’altro ai fini della variazione della legge applicabile è operazione tutelata dal principio di libertà di stabilimento, ma anche che non può configurarsi abuso alcuno laddove a tale operazione non segua lo spostamento della sede effettiva. Ne deriva che è consentito alle società dell’Unione spostare la propria sede legale in altro stato membro anche al solo fine di beneficiare di una legge nazionale più favorevole.