La legge anti-terrorismo cinese: segno di evoluzione e cambiamento.

L’allarme terrorismo che ha invaso, da qualche tempo, tutti i continenti, ha portato all’adozione di nuove misure e/o all’attivazione di quelle preesistenti.

L’Italia, dal suo canto, ha adottato - già dalla primavera dello scorso anno - il cd. “decreto antiterrorismo”; nello stesso senso, ma più in ritardo, si è mossa la Cina con la prima legge anti-terrorismo.

Ma cos’è in realtà questa legge?

A dispetto di un nome chiaro ed esplicito, il complesso e stringente sistema cinese impone delle riflessioni in più, per comprenderne l’esatta portata.

La legge, approvata dall’Assemblea Nazionale del Popolo già in luglio, è stata votata dalla Commissione permanente gli ultimi giorni di dicembre, entrando in vigore il 1 gennaio 2016.

L’obiettivo è quello di un contrasto al terrorismo per il tramite, specialmente, delle aziende che saranno obbligate a fornire alle agenzie del Governo tutte le informazioni necessarie a “svelare” la crittografia dei messaggi sul web, al contempo delineando specifiche regole da rispettare per la diffusione di notizie, in merito agli attentati; una missione importante è affidata, altresì, all’Esercito di Liberazione del Popolo, legittimato a intervenire in operazioni anti-terrorismo anche al di fuori del territorio cinese.

Al di là delle preoccupazioni espresse dal mondo occidentale circa le potenziali violazioni dei diritti umani (primo, fra tutti, quello di espressione) e del diritto internazionale - per il riconosciuto potere di avviare azioni fuori dal territorio nazionale - bisogna dire che una stessa parte della Cina si è espressa in senso fortemente negativo.

In particolare, si è affermato che la legge non andrà a combattere il terrorismo, ma piuttosto reprimerà l’espressione dei cittadini, singoli o organizzati, controllando ogni forma di dissidenza o protesta da parte - per esempio - della regione dello Xinjiang, a prevalenza musulmana.

A difesa della nuova legge, il vice responsabile della divisione penale, in seno alla Commissione affari legislativi dell’Assemblea, Ma Li Shaowei, ha affermato che la compressione dei diritti civili è giustificata dalla necessità di contrastare un fenomeno che, in molti casi, potrebbe portare al crollo di intere nazioni.

Quello che bisogna sottolineare è, senz’altro, il fatto che la Cina sta cambiando e vuole cambiare: uno per tutti, l’intervento dell’Esercito popolare cinese segna una netta cesura rispetto alla politica precedente, tesa a non intervenire in terra straniera.

In altre parole, opportunità o meno della nuova legge, bisogna riconoscere l’edificazione di quello Stato di diritto cinese che tanto si era atteso e che, negli auspici, sostituirà il mero ‘comando dall’alto’.