Contratti di locazione a breve termine

IL REGIME DI AUTORIZZAZIONE DEGLI AFFITTI BREVI E’ CONFORME AL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha giudicato conforme al diritto europeo una normativa francese che richiede un’apposita autorizzazione amministrativa per i contratti di locazione a breve termine. Nello specifico, il provvedimento riguarda gli appartamenti che vengono proposti in locazione per brevi periodi attraverso piattaforme internet, un fenomeno che recentemente ha provocato una carenza di alloggi per i residenti in comuni turistici ad alta densità abitativa.

1.    Il caso di specie

La fattispecie presa in esame dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea riguarda un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte d’Appello di Parigi che condannava due proprietari di due monolocali a Parigi a pagare una multa rispettivamente di 15mila e di 25mila euro, oltre al ripristino dell’uso abitativo dei due appartamenti che avevano destinato a locazioni brevi ma senza aver ricevuto autorizzazione da parte dell’amministrazione pubblica. Nella sentenza si legge che il codice dell’edilizia e dell’abitazione francese prevede che per comuni al di sopra di 200mila abitanti, così come nell’hinterland di Parigi, il cambio di destinazione d’uso delle seconde case per affitti brevi sia sottoposto all’autorizzazione da parte del comune.

Sia il giudice del Tribunale di primo grado, sia la Corte d’appello di Parigi avevano multato i due proprietari degli immobili per aver locato i monolocali senza opportuna autorizzazione e “in maniera reiterata”, e i giudici di Lussemburgo, non hanno che confermato che tale autorizzazione sugli affitti brevi da parte delle amministrazioni è pienamente compatibile con la normativa europea. Nel merito i giudici hanno specificato in sentenza che “la lotta contro la carenza di alloggi destinati alla locazione a lungo termine costituisce un motivo imperativo di interesse generale che giustifica tale normativa”.

2.    La decisione della Corte di Giustizia Europea

Il quadro normativo esaminato dalla Corte di Giustizia Europea si sviluppa principalmente sul vaglio di conformità della normativa francese con la Direttiva 2006/123/CE.

Ed invero, con sentenza del 22 settembre 2020, la Grande Sezione della Corte ha dichiarato, in primis, che la direttiva 2006/123/CE si applica alla normativa di uno Stato membro relativa ad attività di locazione, dietro corrispettivo, di locali ammobiliati destinati ad abitazione ad una clientela di passaggio che non vi elegge domicilio, ripetutamente e per periodi brevi, sia a titolo professionale che a titolo non professionale. Tale attività di locazione rientra, a giudizio della Grande Sezione, nella nozione di “servizio”, come previsto dall’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123/CE. Inoltre, la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che subordina a previa autorizzazione l’esercizio di talune attività di locazione di immobili destinati ad abitazione rientra nella nozione di “regime di autorizzazione”, ai sensi dell’articolo 4, punto 6, della stessa direttiva, e non in quella di “requisito”, ai sensi del punto 7 di tale articolo. Infatti, un “regime di autorizzazione” si distingue da un “requisito” in quanto implica un intervento attivo da parte del prestatore di servizi nonché un atto formale con il quale le autorità competenti autorizzano l’attività di tale prestatore, come succede appunto nelle disposizioni normative francesi in esame. Senza dubbio, tale regime di autorizzazione deve essere giustificato da un motivo imperativo di interesse generale e l’obiettivo perseguito da tale regime deve seguire un criterio di proporzionalità per la realizzazione con una misura meno restrittiva.

Nel concreto, i giudici di Lussemburgo hanno rilevato che la normativa francese che impone un’autorizzazione amministrativa per tali tipi di locazione mira a stabilire un dispositivo di lotta contro la scarsità di alloggi destinati alla locazione di lunga durata, con l’obiettivo di rispondere al peggioramento delle condizioni di accesso agli alloggi e all’esacerbarsi delle tensioni nei mercati immobiliari, ciò che costituisce un motivo imperativo di interesse generale.

E ancora, la sentenza in commento ha definito la normativa francese proporzionata all’obiettivo perseguito. Infatti, essa è “materialmente circoscritta ad un’attività specifica di locazione, esclude dal suo ambito di applicazione gli alloggi che costituiscono la residenza principale del locatore e il regime di autorizzazione da essa istituito ha una portata geografica limitata. Inoltre, l’obiettivo perseguito non può essere realizzato mediante una misura meno restrittiva, in particolare perché un controllo a posteriori, per esempio mediante un sistema dichiarativo accompagnato da sanzioni, non consentirebbe di frenare immediatamente ed efficacemente la prosecuzione del rapido movimento di trasformazione che crea una scarsità di alloggi destinati alla locazione di lunga durata”. Da tale decisione della Corte di Giustizia dell’UE, viene così fuori la conferma della necessità di regolamentare il mercato degli affitti brevi turistici, per garantire un’offerta sufficiente e a prezzi accessibili di alloggi in affitto a lungo termine, in particolare nelle metropoli e nei quartieri più colpiti dai processi di gentrificazione. E senza dubbio risalta la necessità della tutela del “diritto alla casa”.

È certo che tale sentenza provocherà (e in parte è già successo) degli sconvolgimenti per le società che gestiscono gli affitti a breve termine anche in altre città europee.

3.    Conclusioni

Tale questione preoccupa non poco Airbnb, nota piattaforma online di booking di appartamenti in giro per il mondo, che pur non essendo parte in causa nella disputa giudiziaria parigina, ha dichiarato di “accogliere con favore questa decisione che aiuterà a chiarire le regole applicabili agli ospiti che condividono le seconde case a Parigi”, e si è dichiarata disponibile a “lavorare a stretto contatto con le autorità locali su una regolamentazione proporzionata che metta le famiglie e le comunità locali in prima linea e lavori per tutti”.

Degli affitti brevi e della necessità di regolamentare il fenomeno Airbnb se n’è già parlato più volte. La questione è stata infatti al centro di un acceso dibattito aperto in diversi paesi dell’Unione per trovare nuove forme di accordo con la piattaforma e altri gestori di immobili.

In ultimo bisogna rammentare anche il caso italiano sulla c.d. “Legge Airbnb”, la quale prevede che gli affitti brevi, di durata inferiore ai 30 giorni, debbano scontare la cedolare secca del 21%. Tale imposta di soggiorno è a carico dei conduttori. Generalmente Airbnb preleva, all’atto della prenotazione, l’imposta dovuta dall’ospite e la riversa, alla scadenza stabilita dal regolamento, al Comune di competenza. Altrimenti, qualora il contratto di affitto breve venga stipulato al di fuori di Airbnb o di altre piattaforme online il versamento della cedolare secca è effettuato mediante la dichiarazione dei redditi. Anche tale questione è arrivata davanti ai giudici di Lussemburgo a cui il Consiglio di Stato ha rimesso l’ultima parola sulla conformità dell’imposta del 21% con il diritto dell’Unione Europea.

 a cura dell'Avv. Alessandro Benedetti e della Dott.ssa Cristina Savoca di BLB Studio Legale