Gestione di affari nella Pa: quando è configurabile

Cassazione Civile, sez. VI-3, ordinanza 03/02/2017 n° 2944

Si ha gestione di affari altrui (o "negotiorum gestio") quando un soggetto capace di agire assume scientemente, senza esservi obbligato e senza un divieto da parte dell'interessato, la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non è in grado di provvedervi (art. 2028 c.c.). Questa figura rientra fra gli "altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico" previsti dall'art. 1173 c.c.

L'applicazione di questo istituto nei confronti della pubblica amministrazione è questione da sempre controversa: l'azione e l'organizzazione della Pa sono infatti presidiati dai principi costituzionali del buon andamento (art. 97 Cost.) e della riserva di legge (art. 95), che sembrano mal conciliarsi con i presupposti richiesti per la nascita di obbligazioni a carico della Pa ai sensi dell'art. 2028 c.c.

In quali casi è configurabile la gestione di affari nei confronti della pubblica amministrazione?

A questa domanda risponde la Corte di Cassazione, Sezione Terza-3 Civile, con l'ordinanza n. 2944 del 3 febbraio 2017.

Il fatto

La ONLUS AIDS Foundation Immunology and Allergology ricorre per Cassazione avverso la sentenza n. 5532 dell’11 settembre 2014 con cui la Corte d’appello di Roma aveva confermato la revoca, decisa dal giudice di prime cure, del decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento della somma di euro 468.00,00 richiesto dalla stessa ONLUS al Ministero della Salute a titolo di rimborso delle spese sostenute per l’“attività di prevenzione, ricerca ed informazione sul virus HIV” svolta in spontanea sostituzione (negotiorum gestio) della Amministrazione Pubblica.

Con il primo motivo di ricorso – unico che rileva in questa sede -, la ricorrente lamentava la violazione degli artt. 2028 e 2031 c.c.assumendo, da una parte, che l’attività di ricerca esercitata rientrava nel programma di intervento per la prevenzione e la lotta all’AIDS di cui alla L. 5 giugno 1990, n. 135, non di competenza esclusiva della Pubblica Amministrazione, e, dall’altra, che non è possibile distinguere un interesse “proprio” dell’Amministrazione statale diverso dall’interesse della salute della collettività.

Il Giudice di appello aveva infatti fondato la propria decisione su due valutazioni: in primo luogo rilevava l’insussistenza della absentia domini, trattandosi di attività istituzionale per la quale era astrattamente e concretamente inimmaginabile una impossibilità della Pubblica Amministrazione a provvedere direttamente alla cura dell’intere pubblico; in secondo luogo, si evidenziava invece il difetto di utiliter coeptum, ovvero di un vantaggio economico conseguito dal gerito, avendo la ONLUS esercitato l'attività nell'interesse esclusivo della collettività ovvero dei singoli unici titolari del bene-salute, e comunque non essendo intervenuto alcun provvedimento della Pubblica Amministrazione ricognitivo ed approvativo degli effetti conseguiti dalla predetta attività.

La questione sottoposta all’attenzione dei giudici della Corte di Cassazione verte, pertanto, sulla possibilità di applicare l’istituto privatistico della gestione d’affari altrui anche nell’ambito dell’azione amministrativa.

La gestione d’affari altrui ed i suoi presupposti

Ai sensi dell’art. 2028 c.c., si ha gestione di affari altrui nell’ipotesi in cui un soggetto, il gestor, assuma spontaneamente la gestione di un affare altrui senza esservi previamente obbligato, ovvero senza averne ricevuto l’incarico dall’interessato, dominus.

L’istituto trova le sue origini nel diritto romano, ove per la prima volta si cominciò ad osservare come l’ingerenza negli affari altrui non potesse essere aprioristicamente considerata alla stregua di un fatto illecito, con particolare riferimento all’eventualità in cui lo spontaneo intervento del gestore fosse giustificato dall’urgenza e dall’impossibilità da parte del proprietario di provvedervi in prima persona. Ma, se da una parte in epoca romana la negotiorum gestio veniva annoverata fra i quasi contratti e modellata sulla base della disciplina del mandato, ad oggi questa viene invece fatta confluire nell’istituto dell’arricchimento senza giusta causa, pur restando inalterata la stretta connessione con la disciplina del mandato, estesa ope legis ad una fattispecie incompleta, perché priva del previo incarico.

Alla luce di ciò, e sulla base del tenore letterale della norma codicistica, i presupposti per la gestione d’affari altrui sono individuati in un requisito di natura soggettiva ed in quattro differenti requisiti aventi invece natura oggettiva, quali l’intenzione di gestire un affare altrui (animus aliena negotia gerendi), la spontaneità dell’intervento, l’impossibilità di intervenire da parte del diretto interessato (absentia domini), l’alienità dell'affare ed, infine, l’utilità dell’inizio della gestione (utiliter coeptum).

Pertanto, solo in presenza di tutti questi requisiti ed in assenza di unaprohibitio domini – e solo nell’ipotesi di liceità dell’affare – il gestore avrà diritto al particolare trattamento di favore riservato dal legislatore a chi si ingerisce spontaneamente negli affari altrui in una situazione di emergenza e confluito nell’art. 2031 c.c.; in particolare, il gestore avrà diritto ad essere integralmente rimborsato anche nel caso in cui la gestione non sortisca un esito positivo.

L’istituto in esame trova quindi una sua giustificazione nella duplice necessità in primo luogo di sollevare colui che abbia utilmente gestito un affare altrui dagli oneri e dalle obbligazioni conseguenti a tale gestione, in secondo luogo di porre a suo carico i danni eventualmente derivanti da una gestione contraria all’ordinaria diligenza.

Compatibilità della negotiorum gestio con l’attività amministrativa

I Giudici della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2944 del 3 febbraio 2017, hanno quindi condotto un’approfondita indagine sulla concreta possibilità di traslare siffatti principi, aventi natura evidentemente privatistica, nell’ambito dell’attività amministrativa.

Si è, dunque, evidenziato, con riferimento al requisito della absentia domini, come nonostante questo debba essere latamente interpretato così da non implicare, nei rapporti tra privati, la necessaria impossibilità materiale del dominus di provvedere al proprio affare, ritenendo invece sufficiente anche una mera condotta inequivocabilmente volta a dimostrare l’insussistenza di una prohibitio domini, alla stessa conclusione non si può giungere con riferimento all’ambito dell’azione amministrativa o dei pubblici poteri in genere.

Difatti, da una parte la loro organizzazione è – ai sensi dell’art. 95, comma 3, Cost. – coperta da riserva di legge e trova – ex art. 95, comma 2, Cost. – vertice nei Dicasteri “individualmente responsabili degli atti” delle rispettive amministrazioni, dall’altra l’attività amministrativa, intesa sia quale estrinsecazione di potestà autoritativa che quale esercizio di attività regolate nelle forme del diritto privato, deve inoltre conformarsi al principio di evidenza pubblica sancito dall’art. 97, comma 2, Cost., nella duplice forma di buon andamento ed imparzialità della condotta dei pubblici uffici.

Da ciò discende – secondo la ricostruzione degli Ermellini – che le funzioni pubbliche istituzionalmente attribuite ex lege a ciascun Dicastero per il perseguimento di specifici interessi pubblici sono da questi esercitati in relazione alla programmazione degli scopi da raggiungere, così come indicati nell’indirizzo politico governativo, rilevando, inoltre, la piena discrezionalità riservata alle single amministrazioni pubbliche con riferimento alla scelta dei mezzi, intesi sia come mezzi materiali che come risorse umane, e degli impieghi finanziari di volta in volta ritenuti più idonei alla realizzazione dei diversi interessi affidati.

Pertanto, nell’ottica di una trasposizione dell’istituto privatistico nell’azione amministrativa, occorre considerare che un’applicazione indiscriminata, cui non siano posti limiti alcuni, della forma giuridica dellanegotiorum gestio in tale ambito non potrebbe che tradursi nell’affidamento alla libera iniziativa del privato dell’esercizio di qualsivoglia attività della Pubblica Amministrazione comunque connessa alle attribuzioni del Ministero, rimettendo in tal modo al singolo soggetto, in evidente violazione degli artt. 95 e 97 Cost., la scelta dell’an, del quando, del modus nonché dell’impegno finanziario connesso all’esercizio delle singole funzioni della stessa Pubblica Amministrazione. Né, in tale direzione, sarebbe immaginabile l’ipotesi di una costante vigilanza dell’Amministrazione su qualsiasi singola iniziativa dei membri della collettività al fine di esternare tempestivamente la prohibitio.

Appare infatti palese l’assurdità logica, prima ancora che giuridica, di un sistema che ammetta una indiscriminata autorizzazione ai singoli consociati, quali componenti della comunità statale, ad assumere libere iniziative – scegliendo i mezzi più appropriati ed i tempi opportuni, assumendo le spese ed impegnando le risorse finanziarie arbitrariamente ritenute necessarie – volte a realizzare i fini pubblici, facendosi, di fatto, gestori delle Pubbliche Amministrazioni ogniqualvolta si ravvisi un’inerzia o un ritardo nell’esercizio delle specifiche competenze.

Conseguenza di tale ammissione non potrebbe, infatti, che essere la totale disorganizzazione dello Stato ed il suo rapido collasso finanziario.

I Giudici della Corte di Cassazione, tuttavia, precisano che non è possibile escludere in assoluto l’applicazione della negotiorum gestio anche all’attività delle Pubbliche Amministrazioni: questa deve infatti essere limitata a casi del tutto eccezionali, tali da configurare un cogente impedimento all’esercizio delle competenze assegnate agli uffici pubblici o comunque un esplicito riconoscimento dell’effettivo vantaggio conseguito – utiliter coeptum –, con particolare riferimento alla valutazione economica conseguente la relazione “costi-benefici”, come già da tempo riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. I, 23 febbraio 1950, n. 416). Deve invece ritenersi del tutto esclusa la gestione di affari altrui di cui all’art. 2028 c.c. nel caso in cui il privato venga a sostituirsi alla Pubblica Amministrazione nell’esecuzione di un’attività doverosa “non potendosi”, come già affermato dalla stessa Corte (Cass. Civ., Sez. I, 9 novembre 1993, n. 11061), “considerare inerzia, né impedimento a provvedere – absentia domini – il particolare modo di deliberare ed operare delle persone giuridiche pubbliche, pur se suscettibile di causare ritardi contrastanti con le aspettative del beneficiario”.

Alla luce di tutto quanto precede, i giudici della Corte di Cassazione respingono il ricorso promosso dalla ONLUS, sostenendo che la Corte d’appello di Roma, richiedendo l’espresso riconoscimento dell’utilità della gestione da parte della Amministrazione statale, si è conformata ai principi già in precedenza affermati dagli stessi Ermellini.