Tre requisiti perché la "start-up" sia innovativa

Con la conversione del decreto cosiddetto sviluppo-bis (ovvero "decreto crescita", D.L. n. 179/2012), nella legge n. 221/2012, la disciplina delle “start-up innovative” ha subito notevoli modifiche di carattere strutturale, che però non hanno impedito la definitiva introduzione di questa tipologia societaria dall’elevato core tecnologico.
La precedente normativa, infatti, prevedeva che tali società dovevano avere ad oggetto esclusivo «lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico». La novella ha sostituito il criterio dell’“esclusività” con il più malleabile criterio della “prevalenza”, consentendo quindi anche a quelle società con prevalente (e non, pertanto, esclusiva) presenza di prodotti e servizi dall’alto valore tecnologico, di beneficiare delle agevolazioni introdotte.
Al concetto di “alto valore tecnologico”, però, né la vecchia, né la nuova normativa hanno dedicato una definizione, lasciando i più con grandi dubbi che sicuramente scateneranno dibattiti e discussioni.
La disciplina contenuta nel decreto sviluppo-bis prevedeva che si trattasse di società di capitali non quotate e non derivanti da operazioni di fusione, scissione o cessione di azienda. E ancora, società con sede in Italia, in attività da non più di 48 mesi, con un fatturato a partire dal secondo anno di attività non superiore a 5 milioni di euro ed interdette per legge alla distribuzione di utili; detenute da una maggioranza di quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto dei soci in assemblea, costituita solo da persone fisiche. La legge di conversione è intervenuta anche su questo specifico aspetto, circoscrivendo tale obbligo «al momento della costituzione e solo per i successivi 24 mesi».
Allo spirare di tale termine, pertanto, sarà lecita, all’interno della compagine societaria delle start-up innovative, una maggioranza azionaria costituita da persone giuridiche.
Sono stati altresì modificati i tre requisiti, la cui presenza, anche di uno soltanto, rende quella società di capitali, una start-up innovativa ai sensi e per gli effetti di legge:

  • ci si riferisce alla “titolarità” di una qualche invenzione industriale (brevetti, marchi, modelli ecc.) in ossequio alla vocazione tecnologica della tipologia societaria. La legge di conversione ha stabilito che tale requisito è soddisfatto anche se la società ha solamente presentato la domanda di registrazione del brevetto senza alcuna garanzia in ordine al relativo accoglimento. Pertanto la società non dovrà necessariamente essere licenziataria della privativa industriale (biotecnologica, topografia di prodotto o nuova varietà vegetale), ma anche solo “depositaria” di quest’ultima;
  • l’ammontare del valore minimo richiesto per le spese di ricerca e sviluppo – rapportato al maggior valore fra costo e valore totale della produzione – è stato ridotto dal 30% al 20%. A rigida osservanza dei principi contabili, dovranno pertanto computarsi nel relativo calcolo «le spese relative allo sviluppo pre-competitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del b usiness plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per  la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso». In base al dettato letterale della norma, non sarebbe peregrino includere in tali voci di spesa, quelle sostenute nella fase embrionale della società (avvio e impostazione del nuovo b usiness), anche eventualmente da soci ed amministratori. Del tutto oscura e pertanto avventata sarebbe l’inclusione di quelle spese sostenute prima della stessa venuta ad esistenza della start-up innovativa. Dovranno senza alcun dubbio escludersi le spese di acquisto e locazione di immobili;
  • relativamente al requisito per così dire “culturale” legato al titolo di studio di dottorato di ricerca, di dottorando o di laureato con attività almeno triennale di ricerca, di almeno o più di un terzo dei componenti la forza lavoro della start-up, non appare chiaro se le relative materie di studio debbano obbligatoriamente concernere l’attività di impresa o interessare ulteriori ambiti (come quello umanistico, per esempio). Senza risposta rimane, inoltre, il dubbio se nel computo di tale quota di “esperti cultori della materia” si debba o meno includere i soci e gli amministratori dal momento che, qualora non lo si facesse, sarebbe difficile raggiungere la quantità prevista dalla legge nella fase di avvio della società quando la compagine operativa consta di un numero di collaboratori o dipendenti particolarmente esiguo o, in alcuni casi, inesistente.

Modifiche al regime fiscale agevolato e novità in materia di lavoro
In aggiunta alla conferma di tutti i benefici fiscali previsti dal decreto sviluppo, il nuovo art. 27-bis della legge di conversione estende anche alle start-up innovative ed agli incubatori certificati il credito di imposta. Il limite massimo è di 200 mila euro annui per ogni singola impresa, consistendo di fatto nel 35% del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato, cui viene equiparato, in ossequio alle linee-guida impartite dalla legge n. 92/2012 (la cd. “riforma Fornero”), il contratto di apprendistato.
La materia giuslavoristica ha subito modifiche di poca rilevanza rispetto al decreto n. 179/2012: è stata equiparata la presunzione “quadriennale” circa l’esistenza di ragioni di carattere tecnico, sostitutivo, organizzativo e produttivo richieste per la stipulazione di contratti a termine anche ai contratti di lavoro a tempo determinato, ovvero quelli stipulati per mezzo di un’agenzia di collocamento. Gli stessi contratti di lavoro a tempo determinato e di somministrazione a tempo determinato stipulati da start-up innovative sono espressamente esentati dalle limitazioni quantitative imposte per le altre imprese. I rapporti di lavoro a tempo determinato potranno altresì avere una durata inferiore a sei mesi con conseguente equiparazione alla disciplina tradizionale prevista per i contratti a tempo determinato.
Da ultimo, la legge di conversione ha consentito alle organizzazioni sindacali di decentrare la stipulazione di contratti collettivi con le start-up innovative, definendo di volta in volta, e con una sempre maggiore aderenza alle esigenze di mercato, i parametri per la determinazione dei criteri minimi retributivi e per l’adattamento delle regole di gestione del rapporto di lavoro alle caratteristiche peculiari delle start-up innovative.