L'inadempimento contrattuale di una srl non comporta automatica responsabilità degli amministratori

Corte di Cassazione, sez. VI, civ., ordinanza 12 giugno 2019, n. 15822

Le sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a provvedere sulla domanda del creditore di una società di capitali, cancellata dal registro delle imprese, volta alla condanna degli amministratori e del liquidatore al risarcimento dei danni cagionati per l‘avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, pur in presenza del debito vantato dal creditore sociale.

A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità ma richiede, ai sensi dell'art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questo e il danno patito dal terzo contraente.

Il quadro normativo – Il quadro normativo di riferimento è rappresentato, da un lato, dall'art. 1, lett. a), d.lgs. n.5 del 2003 – ‘‘Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia'', nel cui ambito di applicazione rientrano, tra gli altri, i ‘‘rapporti societari'', ivi comprese le ‘‘azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi di amministrazione e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società'' – e dall'50-bis c.p.c. che individua il novero delle cause in cui il Tribunale è chiamato a giudicare in composizione collegiale – tra queste, quelle devolute alle sezioni specializzate in materia di impresa –; dall'altro lato, dagli artt. 2392, 2489 comma 2, 2395 e 2476, comma 6, c.c., che diffusamente regolano in tema doveri, obblighi e responsabilità di amministratori e liquidatori di società di capitali.

Per quanto qui rileva, in tema di responsabilità degli organi sociali, gli amministratori – come enunciato dal citato art. 2392 c.c. - sono chiamati ad adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze.

I liquidatori, dal canto loro, sono chiamati – come enunciato dall'art. 2489 c.c. – a porre in essere tutte le attività che risultano necessarie ed utili per la liquidazione della società, adempiendo i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; la loro responsabilità per i danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri è disciplinata secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori.

Proprio in tema di responsabilità degli amministratori, l'art. 2395 c.c. prevede l'azione promuovibile dal singolo socio o dal singolo terzo direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori e che trova il suo fondamento nel pregiudizio arrecato al patrimonio del singolo, in ciò distinguendosi dalle altre azioni di responsabilità previste dal codice civile - azione sociale di responsabilità proposta dalla società ex artt. 2393, dai soci ex art. 2393 bis c.c. e dai creditori sociali ex art. 2394 c.c. - il cui presupposto è invece rappresentato dal danno arrecato al patrimonio della società.

Il caso di specie – Con sentenza della Corte d'Appello di Roma, veniva rigettata, previa declaratoria di nullità della decisione del Tribunale per violazione della composizione collegiale del giudice ex art. 50-bis c.p.c., la domanda proposta dalla titolare di un credito da lavoro contro gli ex amministratori e l'ex liquidatore della società presso cui aveva prestato attività lavorativa, volta alla condanna dei medesimi al risarcimento del danno arrecatole dall'avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, ancorché fosse in essere il credito vantato.

Avverso la pronuncia, parte soccombente interponeva ricorso per Cassazione, assumendone a fondamento due motivi: in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1, lett. a), d.lgs. n.5 del 2003 e 50bis c.p.c., sulla scorta dell'assunto per cui, derivando il credito vantato da rapporto di lavoro, la relativa controversia non sarebbe ricaduta nell'ambito di applicazione delle norme menzionate; in secondo luogo, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2392, 2489 comma 2, 2395 e 2476, comma 6, c.c., sulla scorta dell'assunto per cui, prima di procedere alla cancellazione dal registro delle imprese ‘‘un liquidatore più diligente avrebbe dovuto almeno chiedere ai soci l'esecuzione di finanziamenti al fine di estinguere i debiti sociali ed inserire in bilancio il debito della ricorrente, mentre si è data preferenza al pagamento di altri debiti […] con danno diretto della signora''.

Il decisum della Corte – La Corte Suprema di Cassazione, confermando in toto la sentenza resa dal Giudice del gravame, ha rigettato il ricorso, ritenendo il primo motivo di censura manifestamente infondato e il secondo inammissibile.

Segnatamente: in alcuna violazione e falsa applicazione degli artt. 1, lett. a), d.lgs. n.5 del 2003 e 50-bis c.p.c. poteva ritenersi incorso il Giudice dell'appello, trattandosi di azione di responsabilità promossa contro gli organi sociali, pacificamente radicata nella competenza del Tribunale in composizione collegiale. Al riguardo la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: ‘‘Le sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a provvedere sulla domanda del creditore di una società di capitali, cancellata dal registro delle imprese, volta alla condanna degli amministratori e del liquidatore al risarcimento dei danni cagionati per l‘avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, pur in presenza del debito vantato dal creditore sociale''.

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