Il silenzio assenso "endoprocedimentale" nel parere del Consiglio di Stato

Con il Parere 13 luglio 2016, n.1640 , la Commissione Speciale del Consiglio di Stato ha risposto ad un complesso quesito dell'Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, trasmesso con nota del 31 maggio 2016 e riguardante alcuni delicati problemi applicativi dell'art. 17-bis della Legge n. 241 del 1990, recante la disciplina del silenzio assenso c.d. endoprocedimentale.

Come preliminarmente evidenziato dal Consiglio di Stato, l'istituto in esame completa un'evoluzione normativa che ha progressivamente fluidificato l'azione amministrativa, neutralizzando gli effetti negativi e paralizzanti del silenzio amministrativo, dapprima nei rapporti tra privati (Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35 che ha riscritto l'art. 20 della Legge n. 241 del 1990, generalizzando la regola del silenzio assenso) e, ben più recentemente, anche nei rapporti tra le pubbliche amministrazioni.

L'art. 3 della Legge n. 124 del 2015 – attraverso l'introduzione dell'art. 17-bis della Legge n. 241 del 1990 – disciplina, infatti, una nuova forma di silenzio assenso, definita "endoprocedimentale", destinata a snellire tutti quei procedimenti amministrativi finalizzati all'emanazione di un provvedimento "pluristrutturato", ovvero di quella decisione finale da parte dell'amministrazione procedente per la cui adozione la legge richiede l'assenso vincolante di un'altra amministrazione: in tali ipotesi, il silenzio dell'amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l'effetto di precludere l'adozione del provvedimento finale, ma è, al contrario, equiparato ope legis allo stesso atto di assenso e consente, pertanto, l'adozione del provvedimento conclusivo da parte dell'amministrazione procedente.

La norma recentemente introdotta regola quindi un meccanismo di sostituzione di tutti quegli atti che, a prescindere dal proprio nomen, siano astrattamente e concretamente riconducibili alla categoria degli atti di assenso.

Così in tutti quei casi in cui, per l'adozione di un provvedimento normativo o amministrativo di competenza di un'amministrazione pubblica, sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di un'altra pubblica amministrazione o di un gestore di beni o servizi pubblici, questi comunicano il proprio assenso (o atto analogo) entro il termine di 30 giorni decorrenti dal ricevimento dello schema di provvedimento – espressione, frequente nella prassi amministrativa ma che non trova una specifica definizione normativa, con cui si fa riferimento a quel prospetto in cui viene sinteticamente delineato il contenuto proprio dell'atto finale cui è volto l'intero procedimento amministrativo –, corredato dalla relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente.

Il termine è interrotto nella sola ipotesi in cui l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso , concerto o nulla osta rappresenti, entro lo stesso termine, delle esigenze istruttorie o delle richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale. In tale ipotesi l'atto è reso e comunicato nei successivi 30 giorni decorrenti dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento modificato.

Nel caso invece di mancato accordo in merito alle modifiche da apportare allo schema di provvedimento tra le amministrazioni pubbliche coinvolte nel procedimento, ovvero tra la pubblica amministrazione e il gestore di beni e servizi pubblici, il secondo comma del nuovo art. 17-bis individua il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, quale soggetto incaricato di dirimere la questione e decidere. Siffatta previsione, ricalcando quanto previsto dall'art. 20 in caso di dissenso in seno alla conferenza di servizi, conferma la finalità semplificatoria e acceleratoria dell'istituto, sia nella sua forma tradizionale sia in quella endoprocedimentale.

Lo stesso secondo comma sancisce inoltre che, decorso inutilmente il termine di 30 giorni, l'atto di assenso comunque denominato si intende acquisito.

Il comma successivo estende invece l'effettivo ambito di applicazione del nuovo istituto anche ai procedimenti concernenti settori rispetto ai quali resta esclusa, ai sensi del quarto comma dell'art. 20, l'applicabilità del silenzio assenso tradizionale: la forma endoprocedimentale si applica, infatti, anche in quelle ipotesi in cui l'atto di assenso comunque denominato sia richiesto alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini con la sola differenza che, ove non sia espressamente previsto diversamente, il termine entro cui occorre manifestare il proprio assenso – e, conseguentemente, decorso inutilmente il quale lo stesso s'intende acquisito – è di 90 giorni decorrenti dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione competente. Al contrario, ai sensi del quarto comma dell'art. 17-bis, restano escluse dall'ambito di applicazione dell'istituto in esame tutte quelle ipotesi – in verità, di scarso rilievo pratico – per le quali disposizioni di diritto comunitario richiedano l'adozione di provvedimenti espressi.

Chiamato quindi a risolvere alcuni dubbi interpretativi relativi alla nuova forma di silenzio assenso, il Consiglio di Stato procede anzitutto a delineare con maggior precisione l'effettivo ambito di applicazione, soggettivo ed oggettivo, dell'art. 17-bis.

Viene pertanto sancita l'applicabilità dell'istituto anche in relazione a tutti quei procedimenti amministrativi che coinvolgano: 

a) le Regioni e gli altri enti locali, riconoscendo la necessità di intensificare, in attuazione del principio di leale collaborazione, ogni forma di coordinamento istituzionale diretto a garantire l'omogenea applicazione delle nuove regole di semplificazione, nel rispetto della loro autonomia organizzativa; 

b) gli organi politici, limitatamente alle ipotesi in cui questi adottano atti amministrativi o normativi, ovvero sono chiamati ad esprimere atti di consenso comunque denominati nell'ambito di procedimenti per l'adozione di atti amministrativi o normativi di altre amministrazioni – è, infatti, la natura amministrativa o normativa dell'atto da adottare che rileva, e non la natura amministrativa o politica dell'organo titolare della competenza "interna" nell'ambito della pubblica amministrazione coinvolta –; 

c) le Autorità indipendenti in virtù della loro natura amministrativa ormai pacificamente riconosciuta; 

d) i gestori di beni e servizi pubblici anche quando siano titolari del procedimento, attraverso il richiamo alla nozione "oggettiva" e "funzionale" di pubblica amministrazione, tale da ricomprendere ogni soggetto che, a prescindere dalla veste formale-soggettiva, sia tenuto ad osservare, nello svolgimento di determinate attività o funzioni, i principi del procedimento amministrativo. 

Sotto il punto di vista oggettivo, si ritiene invece estesa l'applicabilità del silenzio assenso endoprocedimentale anche in tutti quei casi in cui ad essere richiesto non è un atto di assenso comunque denominato, bensì un parere vincolante. Restano invece esclusi dall'effettiva portata della norma i casi in cui sono richiesti pareri meramente consultivi e non vincolanti (assoggettati alla diversa disciplina di cui agli artt. 16 e 17 della Legge n. 241 del 1990), ovvero quelli in cui l'atto di assenso è chiesto dall'amministrazione non nel proprio interesse, ma in quello di un privato (destinatario finale dell'atto) che abbia presentato la relativa domanda tramite lo sportello unico.

La Commissione Speciale pone inoltre l'attenzione sulla difficoltà di stabilire se, una volta ottenuto l'assenso per silentium, l'atto non sia esposto al rischio della illegittimità per difetto di motivazione o per carenza di istruttoria e se tali potenziali lacune possano essere colmate dall'intervento surrogatorio dell'amministrazione procedente.

Si sostiene al riguardo che l'art. 17-bis legittimi l'espressione della volontà procedimentale anche attraverso l'inerzia prolungata per un determinato termine: in tal caso, dunque, la motivazione esplicita non è più richiesta come elemento strutturale dell'atto. Del resto, anche sotto un punto di vista empirico, la motivazione può considerarsi insita nell'adesione implicita allo schema di provvedimento formulato dall'amministrazione procedente.

Al contrario, a conclusioni diametralmente opposte si potrebbe invece giungere con riferimento al difetto di istruttoria: la totale omissione di qualsiasi attività preparatoria potrebbe, infatti, costituire indice di una radicale assenza di adeguata preparazione all'esercizio del potere. Pertanto, secondo la Commissione Speciale, il silenzio assenso maturato, seppure idoneo al perfezionamento dell'atto, rischia di risultare insufficiente a colmare un vizio essenziale del procedimento.

Da ultimo, la Commissione Speciale del Consiglio di Stato affronta la problematica relativa alla possibilità per l'amministrazione che, interpellata, sia rimasta inerte, di agire in autotutela. In merito occorre distinguere, da una parte, l'ipotesi in cui, una volta formatosi l'assenso per silentium, il provvedimento finale sia già stato formalmente adottato dall'amministrazione procedente – in tal caso sarà necessario sollecitare l'avvio del procedimento di riesame non potendosi esercitare un potere di autotutela unilaterale che si concretizzi nell'esternazione del proprio sopravvenuto dissenso – e, dall'altra, quella in cui, invece, lo stesso provvedimento finale non sia ancora stato adottato nonostante la formazione del silenzio assenso – si riconosce la natura perentoria del termine di 30 giorni negando all'amministrazione interpellata la possibilità di esercitare un potere unilaterale e tardivo di autotutela fino al momento dell'adozione del provvedimento finale, impenendone, di fatto, la formazione.