Jobs Act

La Corte Costituzionale dichiara illegittima la disciplina dell’indennità risarcitoria prevista nel Jobs Act

In un comunicato stampa diramato nella giornata di ieri - e in attesa della pubblicazione della sentenza - la Consulta ha preannunciato la avvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma I, del Decreto legislativo n. 23/2015, varato dal governo Renzi, meglio conosciuto come ‘‘Jobs Act’’, nella parte in cui ha introdotto la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio da corrispondere al lavoratore assunto a tempo indeterminato e illegittimamente licenziato.

La dichiarata illegittimità origina dal contrasto della disposizione con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, oltre che con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.

L’originaria previsione della disposizione oggetto di censura così recitava: ‘‘(…) nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità’’.

Il successivo Decreto dignità, varato dal governo M5s-Lega, si è limitato a ritoccare il quantum indennizzabile - da sei a trentasei mensilità - senza tuttavia scalfire la logica delle tutele crescenti.

La decisione scrutinata trae origine dall’ordinanza del 26 luglio 2017 - est. Cosentino - con cui il Tribunale Civile di Roma, Sezione Lavoro, aveva sollevato innanzi alla Consulta questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma VII, lettera c) e degli artt. 2, 4, e 10 D.Lgs. n. 23/2015, per contrasto con gli articoli 3, 4, 76 e 117, comma I, della Costituzione, letti autonomamente ed anche in correlazione tra loro.

Giova sin d’ora precisare come il sospetto di incostituzionalità non era stato ravvisato dal Tribunale rimettente in ragione dell’avvenuta eliminazione della tutela reintegratoria - che, per pacifica giurisprudenza della Consulta, non costituisce l’unico paradigma attuativo dei precetti costituzionali di cui agli artt. 4 e 35 -, quanto piuttosto in ragione della disciplina concreta dell’indennità risarcitoria e, in particolare, dei criteri da seguirsi a fini quantificatori.

Più nello specifico, per ciò che concerne il contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., la previsione di una indennità di misura modesta, fissa e crescente solo in base alla anzianità di servizio, parrebbe non costituire - ad avviso del Giudice a quo - adeguato ristoro per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act - 07.03.2015 - e ingiustamente licenziati; emblematica e paradossale sarebbe la situazione discriminatoria che si verrebbe a creare finanche all’interno di una medesima organizzazione aziendale laddove, a fronte della stipulazione di un identico contratto di lavoro e a parità di necessità di ridurre il personale, l’azienda sarebbe incentivata a privilegiare la meno costosa e problematica espulsione dei lavoratori in regime di Jobs Act.

Sotto il profilo della disparità di trattamento, la data di assunzione apparirebbe come un dato accidentale ed estrinseco a ciascun rapporto, in nulla idoneo a differenziare un rapporto da un altro a parità di ogni altro profilo sostanziale.

Inoltre, l’applicazione di un freddo criterio aritmetico, implicante la totale eliminazione della discrezionalità valutativa del giudice, finirebbe per disciplinare in modo conforme casi molto dissimili nella sostanza.

A ciò aggiungasi la mancanza del carattere dissuasivo della sanzione, potendo il datore di lavoro fruire di uno sgravio contributivo di 36 mesi - previsto dalla L. n. 190/2014 - di importo ben più consistente della condanna che lo stesso si vedrebbe comminare in misura fissa, predeterminata e a prescindere dalla gravità dell’illegittimità, in caso di licenziamento; si tratterebbe, a conti fatti, di un vero e proprio ‘‘affare’’ alla cui conclusione la parte datoriale sarebbe incentivata.

La ‘‘liberalizzazione dei licenziamenti’’ e l’annullamento dell’effetto ‘‘vincolistico’’ di fatto decretati dal Jobs Act, si porrebbero vieppiù in contrasto con gli artt. 4 e 35, comma I, Cost., presidi costituzionali del diritto al lavoro, da intendersi quale strumento di realizzazione della persona e mezzo di emancipazione sociale ed economico.

Su di un piano più generale, inoltre, le tutele dei licenziamenti andrebbero ad indebolire la forza contrattuale del lavoratore nella relazione quotidiana sul luogo di lavoro, riverberando inevitabilmente effetti su altri diritti dei lavoratori costituzionalmente protetti (libertà di espressione e dissenso, difesa della dignità dinanzi ai soprusi, diritti e libertà sindacali etc.).

Ebbene, è proprio in virtù del presumibile accoglimento dei suesposti profili di illegittimità costituzionale - la formula dubitativa è d’obbligo in attesa di meglio comprendere i dettagli della decisione, di prossima pubblicazione - che la Consulta ha censurato il meccanismo legato all’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio.

A questo punto la prospettiva sembra esser quella di tornare ai precedenti criteri di calcolo di indennizzo stabiliti dalle norme Fornero, che affidavano ai giudici la valutazione caso per caso (tenendo conto della durata del rapporto, ma anche della grandezza della società e dei comportamenti tenuti dalle parti) nell'ambito della stessa forchetta minima e massima.

In attesa dei correttivi che si vorranno apportare per via di legge, il dispositivo suona come una bocciatura per il contratto a tutele crescenti, architrave della riforma renziana, che già all’indomani della sua entrata in vigore era stata da più parti aspramente criticata.