Il diritto all’oblio ed il bilanciamento con il diritto all’informazione.

In attesa dell’effettiva entrata in vigore del Nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali che, per la prima volta, codifica il diritto all’oblio facendo propri i dettami della giurisprudenza e delle Linee Guida elaborate del WP Art. 29, è interessante osservare come siffatto diritto stia trovando un proprio consolidamento sia per quanto riguarda i confini applicativi, sia con riferimento ai requisiti necessari a tale applicazione.

Il diritto all’oblio presuppone infatti un difficile bilanciamento fra l’interesse del singolo all’oblio delle proprie vicende personali, il diritto della collettività ad essere informata ed aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti ed il complementare dovere di informazione gravante sui giornalisti.

Così, pur in assenza di una definizione univoca di tale diritto nell’ambito del trattamento di dati personali con finalità giornalistiche o per altre attività di informazione, esso può essere definito come la facoltà dell’interessato di chiedere al titolare di una testata giornalistica, di un blog o di un motore di ricerca la cessazione del trattamento dei propri dati personali, utilizzati per finalità di informazione, mediante la cancellazione o la deindicizzazione, ogniqualvolta la notizia non sia più attuale ovvero non vi sia più un interesse generale alla sua conoscibilità.

Presupposto fondamentale per il suo esercizio risulta essere il trascorrere di un ampio lasso di tempo, tale infatti da far venir meno l’interesse che sussisteva nel momento in cui la notizia fu pubblicata, garantendo, all’epoca, la liceità della diffusione.

A tal riguardo, la storica sentenza c.d. decalogo ha chiarito che in assenza del consenso dell’interessato, la pubblicazione di un articolo e, in un secondo momento, la sua conservazione nell’archivio aperto di una rivista online possono avvenire unicamente qualora i fatti narrati siano veri o ritenuti tali senza colpa, siano esposti in modo obiettivo e qualora la notizia sia di pubblico interesse. Con il diritto all’oblio si aggiunge dunque un quarto requisito, rappresentato dall’attualità dell’informazione, strettamente connesso alla terza caratteristica in quanto impone che l’interesse della collettività sussista non solo nel momento in cui il dato personale è pubblicato, ma per l’intero periodo durante il quale è possibile accedere ad esso.

Così, nell’attuale e temporaneo vuoto normativo, non manca chi vorrebbe estremizzare la portata innovativa del diritto nato, nella sua forma più embrionale, con la Sentenza Costeja al fine di eliminare coscienziosamente determinati aspetti della propria identità e del proprio passato online.

Il diritto all’oblio deve tuttavia essere inteso unicamente quale forma di tutela del singolo affinché non vengano diffuse, se non in presenza di validi ed attuali motivi, notizie che siano per lui pregiudizievoli, dando così vita alla c.d. gogna mediatica.

Questo costituisce pertanto un diritto alla corretta ricostruzione storica dei fatti e, conseguentemente, non dovrà essere interpretato come una possibilità di un’effettiva cancellazione delle notizie pregiudizievoli (ad eccezione del caso in cui venga riconosciuta la sussistenza del reato di diffamazione) quanto piuttosto in quella di una deindicizzazione da parte dei motori di ricerca.

A tal proposito, rileva inoltre come, affinché possa trovare applicazione tale diritto, sarà necessario effettuare con specifico riferimento al singolo caso concreto una serie di considerazioni che non si limitano all’esame meramente quantitativo del tempo trascorso dal momento della vicenda oggetto delle notizie rinvenibili mediante i motori di ricerca.

Infatti, come recentemente evidenziato sia dalla Cassazione penale nella sentenza n. 38747 del 3 agosto 2017 che, soprattutto, dal Garante della Privacy in un provvedimento del 15 giugno 2017, il diritto all’oblio può incontrare un limite quando le informazioni per le quali viene invocato risultino connesse al ruolo che l’interessato ricopre nella vita pubblica nonché rilevanti per la formazione dell’opinione pubblica.

Non sarebbe infatti ammissibile, in qualsiasi ordinamento che si dica democratico, prevedere la possibilità di eliminare la memoria storica e così, per realizzare il bilanciamento fra tutti gli interessi in gioco, appare consequenziale che l’applicazione pratica del diritto all’oblio avvenga mediante la deindicizzazione dai motori di ricerca, rendendo così reperibile una notizia significativa negli archivi online dei siti internet e non quale primo risultato di una semplice ricerca effettuata, ad esempio, su Google.