L’acquisizione della messaggistica BlackBerry "pin to pin" non necessita di rogatoria internazionale

La Suprema Corte di Cassazione – Sez. IV, sentenza n. 46968 – è recentemente tornata sul tema delle intercettazioni delle chat pin to pin tra utenti BlackBerry, riaffermando il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l’esecuzione delle stesse non necessita di rogatorie internazionali.

In sintesi, il funzionamento del sistema operativo: il messaggio inviato dal mittente viene cifrato dal suo smartphone, spedito al server della società canadese RIM – Research in motion – e da qui inoltrato al device del destinatario che decomprime il messaggio e lo rende intellegibile.

In sintesi, le procedure dirette ad acquisire le chat: la Procura della Repubblica inoltra a RIM Italia S.r.l., società italiana che rappresenta la casa madre allocata in Canada, la richiesta dei testi decifrati dei messaggi; RIM Italia S.r.l. trasmette la relativa richiesta alla RIM canadese – ove sono custodite le chiavi di criptazione – che, dopo aver ottemperato, spedisce gli esiti delle captazioni alla succursale italiana che, a sua volta, li trasmette sui server degli uffici della Procura.

Ciò premesso, e tornando al quesito posto, la S.C. ha osservato come l’attività acquisitiva non necessiti di rogatoria internazionale allorquando la captazione, la ricezione e la registrazione (ossia le fasi principali della sequenza intercettativa) del flusso telematico siano interamente compiute sul territorio nazionale, competendo all’operatore estero la sola decriptazione dei messaggi intercettati.

Di seguito la massima: ‘‘In tema di intercettazioni telefoniche, l’acquisizione della messaggistica, scambiata mediante sistema BlackBerry, non necessita di rogatoria internazionale quando le comunicazioni sono avvenute in Italia, a nulla rilevando che per ‘‘decriptare’’ i dati indentificativi associati ai codici PIN occorra ricorrere alla collaborazione del produttore dei sistemi operativo avente sede all’estero’’ (Ex plurimis, Cassazione n. 52925/2016; Cassazione n. 16670/2016).