L’estrazione di dati archiviati su un supporto informatico non è accertamento tecnico irripetibile

Muovendo dall’assunto della intrinseca fragilità della prova informatica, suscettibile di facili modificazioni, alterazioni e danneggiamenti, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9684 del 28.02.2017, è tornata ad affrontare il problema scientifico, e quindi giuridico – lasciato irrisolto dalla L. 18.03.2008, n. 48 –, della sicura acquisizione dei dati digitali e della ripetibilità delle relative operazioni.

Invero, la citata legge – di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Budapest sul Cybercrime –, se, per un verso, ha disciplinato i limiti e le esigenze sottese all’attività di investigazione informatica – quali la conservazione dei dati originali e la conformità delle copie agli stessi –, per altro verso, non ha previsto un protocollo di raccolta della prova volto a regolamentare il regime giuridico e il modus operandi delle singole attività acquisitive.

Della questione è stata quindi investita la giurisprudenza.

Nel caso scrutinato nella suindicata sentenza, la polizia postale aveva estrapolato da video sequestrati copie di immagini che, una volta acquisite al fascicolo per il dibattimento, avevano fondato la pronuncia di condanna, in primo e secondo grado, per il reato – ex art. 600 quater c.p. – di detenzione di materiale pornografico a carico dell’imputato; costui, adita la Suprema Corte, aveva lamentato l’illegittima acquisizione dei verbali degli accertamenti tecnici, ritenendo violati gli artt. 431 e 191 c.p.p..

Chiamati a decidere sul punto, i supremi giudici, nel dichiarare manifestamente infondato il motivo di censura, hanno avuto modo di constatare che l’attività degli agenti di polizia giudiziaria, lungi dall’aver costituito esecuzione di attività tecniche o dall’aver dato luogo a valutazioni della stessa natura, si era concretata nella semplice estrapolazione di immagini che, in ragione della loro ‘‘attitudine a rappresentare’’, andavano qualificate alla stregua di prove documentali – ex art. 234 c.p.p. – legittimamente acquisite.

Inserendosi nel solco di plurimi e conformi precedenti di legittimità la Suprema Corte ha quindi ribadito il principio per cui: ‘‘l’estrazione di dati archiviati in un computer non costituisce accertamento tecnico irripetibile anche dopo l’entrata in vigore della L. 18 marzo 2008, n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originali; ne deriva che la mancata adozione di tali modalità non comporta l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti, ma la necessità di valutare, in concreto, la sussistenza di eventuali alterazioni dei dati originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti’’.

Alla pronuncia in commento va certamente riconosciuto il merito di aver riaffermato, in modo razionalmente appagante, l’equiparazione giuridica – sotto l’egida dell’art. 234 c.p.p – tra digital evidence e documenti tradizionali, oltre che di aver scritto una bella pagina di Informatica Forense, chiarendo come il dato digitale possa concorrere, in sede dibattimentale, a dar corpo alla decisione.