La CGUE sulla compatibilità della clausola compromissoria contenuta nei BIT ed il diritto UE

Con Sentenza del 6 marzo 2018, la Corte di Giustizia ha avuto occasione di pronunciarsi sulla compatibilità dei Trattati Bilaterali di Investimento (in seguito: “BIT”) con il diritto dell’Unione Europea. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte concerneva un BIT concluso tra il Regno dei Paesi Bassi e la Cecoslovacchia alla quale era succeduta, a seguito della dissoluzione di tale paese nel 1993, la Repubblica Slovacca.

La liberalizzazione del mercato delle assicurazioni sanitarie, avvenuta in tale paese nel 2004, aveva indotto la società olandese Achmea B.V. a costituirvi una società controllata. Tuttavia, con la riforma del 2006, la Repubblica Slovacca introduceva alcune limitazioni alla predetta liberalizzazioni.

Per tali ragioni Achmea B.V. conveniva in sede arbitrale la Repubblica Slovacca per ottenere il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’introduzione delle predette limitazioni in ragione della contrarietà delle stesse al contenuto del Trattato. Con il lodo che definiva il giudizio, la Repubblica Slovacca veniva condannata ad un risarcimento di circa 22.1 milioni.

Il lodo veniva però impugnato dalla Repubblica Slovacca dinnanzi alla giurisdizione tedesca. Nell’ambito di tale procedimento, la Corte Federale tedesca, anche in ragione delle argomentazioni svolte dallo Stato Slovacco circa la contrarietà dei BIT infra UE e della relativa giurisdizione arbitrale al diritto dell’Unione, sollevava ricorso incidentale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in seguito: TFUE) investendo della questione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in seguito: CGUE).

In particolare, la CGUE veniva chiamata ad esprimersi su tre diverse questioni. Con la prima si richiedeva al giudice ad quem di esprimersi sulla compatibilità della clausola compromissoria contenuta nel BIT con l’articolo 344 TFUE. Con la seconda, veniva richiesto l’intervento interpretativo della CGUE rispetto al conflitto con l’art. 267 TFUE della clausola compromissoria contenuta nel BIT, mentre la terza verteva sulla compatibilità di detta clausola con l’art. 18 TFUE.

Le prime due questioni sono state trattate congiuntamente dalla CGUE, che rileva – come per constante orientamento della stessa – che “un accordo internazionale non può pregiudicare l’ordinamento delle competenze stabilito dai Trattati e, quindi l’autonomia del sistema giuridico dell’Unione” (para. 31) di cui proprio la Corte è chiamata a garantire il rispetto (artt. 344 TFUE).

Orbene, il fatto che il collegio arbitrale sia chiamato non solo ad applicare il regolamento contenuto nel BIT, ma anche la normativa comunitaria, senza però la possibilità di sollevare ricorso incidentale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE, in ragione della mancata qualifica di autorità giurisdizionale di uno Stato Membro, è pregiudizievole dei principi di autonomia e primazia del diritto dell’UE.

Avendo la CGUE già ravvisato, a seguito dell’esame delle prime questioni, l’incompatibilità del meccanismo predisposto dal BIT per la risoluzione delle controversie con il diritto UE, la terza questione non è stata, invece, approfondita.

La sentenza in commento è di estremo interesse per la sorte a livello UE di uno strumento il cui utilizzo è invalso nella prassi internazionale. Sebbene, la pronuncia della CGUE abbia efficacia unicamente con riguardo alla specifica controversia sottoposta alla sua cognizione, il principio di diritto espresso sembra invece potersi riferire a tutti i BIT infra EU posto che il ricorso alla giurisdizione arbitrale rappresenta elemento caratteristico e distintivo di tali strumenti internazionali e viene generalmente proposto con modalità pressoché identiche da tutti i BIT.