Tassisti / Uber: 1 a 0

Dopo mesi di battaglie, più o meno pacifiche, i tassisti milanesi hanno finalmente portato a casa la prima vittoria contro Uber. È di qualche giorno fa l’ordinanza emessa dal Giudice della Sezione Specializzata in materia d’impresa del capoluogo meneghino, Dott. Marangoni, a seguito del ricorso cautelare promosso da numerose cooperative, o più in generale società, di tassisti milanesi contro le società del gruppo Uber.

I tassisti, a ridosso dell’inizio dell’Expo 2015, hanno depositato un ricorso cautelare attraverso cui hanno domandato all’Autorità giudiziaria di inibire a Uber l’utilizzo del servizio Uber Pop, oscurandone il sito internet e la relativa app, sostenendo che l’attività posta in essere sarebbe del tutto identica al sistema di radio taxi che, come noto, è sottoposto a stringenti regole di natura pubblicistica. Il servizio Uber, secondo la ricostruzione effettuata dalla difesa dei ricorrenti, configurerebbe “concorrenza sleale” ai sensi dell’art. 2598 n. 3 del Codice Civile, secondo cui “…compie atti di concorrenza sleale chiunque: 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”, in quanto gli autisti di Uber riescono ad offrire i servizi ad un prezzo molto inferiore rispetto alle tariffe applicate dai tassisti, solo perché non sostengono i costi (anche ingenti) collegati al servizio di taxi, primo fra tutti l’acquisto della licenza.

Se quanto appena detto costituisce il requisito del fumus boni iuris necessario per l’ottenimento di provvedimenti cautelari, con riferimento al periculum in mora la difesa dei ricorrenti ha sostenuto che l’attività posta in essere da Uber comporterebbe per loro una forte perdita di profitti e lo sviamento di clientela, soprattutto considerando che Milano in questo periodo sta ospitando l’Esposizione Universale.

La difesa di Uber si è essenzialmente incentrata sulla qualificazione del servizio offerto, cercando di far comprendere all’Organo giudicante che nel caso di specie non si tratta di un servizio di trasporto di taxi, bensì dell’utilizzo condiviso di un’autovettura privata, anche al fine di ridurre l’inquinamento, tra soggetti iscritti ad una community a cui si accede tramite l’app Uber Pop. Quanto al compenso, secondo la prospettazione offerta dai resistenti, occorre considerare che non si tratta di un vero e proprio corrispettivo ma, al contrario, di un mero rimborso spese di viaggio e dei costi del veicolo.

Nonostante la fantasiosa ma molto convincente ricostruzione del servizio offerto effettuata dai resistenti, il Giudice ha confermato che dagli elementi emersi in corso di causa si può confermare che “l’attività svolta dalle società resistenti sia effettivamente ed oggettivamente interferente con il servizio taxi dalle società” e, inoltre, in alcun modo il servizio può essere paragonato alle forme di car sharing o ride sharing in quanto queste presuppongono che l’autista “esegue il tragitto per un interesse proprio e che in genere le quote richieste ai partecipanti si riducono alla divisione del prezzo della benzina e dei pedaggi autostradali”.

Sulla scorta di tali considerazioni, il Dott. Marangoni ha ritenuto sussistente l’illecito concorrenziale testè citato e, di conseguenza, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha inibito in via cautelare ed urgente l’utilizzazione dell’app Uber Pop (o di app che offrano lo stesso servizio), fissando una penale di € 20.000 al giorno, a decorrere dal quindicesimo giorno dalla comunicazione dell’ordinanza, in caso di ritardo nell’attuazione dell’inibitoria e disponendo la pubblicazione del dispositivo dell’ordinanza stessa sulla home page del sito web di Uber.

Le reazioni successive all’ordinanza di cui in parola sono state le più disparate: da una parte, infatti, si sono schierati coloro che ritengono l’Italia un paese poco all’avanguardia, visto che in tutti gli altri Paesi i servizi di Uber convivono serenamente con il servizio taxi ordinario, dall’altra parte si sono schierati quelli che difendono la categoria dei tassisti ritenendo che i sacrifici economici che gli stessi devono fare per acquistare la licenza e svolgere regolarmente la professione svanirebbero nel momento in cui si dovessero rendere leciti servizi quali quelli di Uber.

A questo punto non resta che attendere la reazione di Uber che, ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., può reclamare il provvedimento cautelare.