UE:risarcimento del danno da violazione antitrust e armonizzazione in materia di private enforcement

Nel novembre 2014 Parlamento Europeo e Consiglio hanno firmato la direttiva comunitaria 2014/104/UE, la quale ha introdotto norme uniformi in materia di proponibilità in capo a imprese e consumatori di azioni di risarcimento dei danni derivanti da violazioni della normativa antitrust, che gli Stati Membri dell’Unione saranno tenuti a recepire entro dicembre 2016.

Nonostante l’iter legis sia stato relativamente svelto, in quanto tra la proposta della Commissione e la conclusione della procedura di codecisione sia trascorso poco più di un anno, l’adozione di un corpo di regole comuni in materia di private enforcement della disciplina antitrust era atteso da tempo nel panorama comunitario. La Commissione, infatti, aveva reso nota questa esigenza già nel Libro Verde del 2005 e nel Libro Bianco del 2008, instaurando un acceso dibattito tra gli esperti che è durato fino al novembre 2014.

Tra l’altro, una precedente proposta della Commissione era stata abbandonata a causa del disaccordo tra gli interpreti in merito all’introduzione di strumenti tipicamente statunitensi, in particolare delle cosiddette class actions. Pertanto, la direttiva recentemente entrata in vigore ha abbandonato tale approccio, optando per un’armonizzazione ancora più “soft”: la Commissione ha infatti adottato una Raccomandazione (2013/396/UE), con la quale si rimette ai singoli Stati il compito di istituire, entro luglio 2015, meccanismi di ricorso collettivo di carattere nazionale.

 

Il chiaro obiettivo della direttiva in analisi è quello di dare effettiva attuazione alle pretese risarcitorie di coloro che subiscano un danno in conseguenza di una violazione dei divieti di intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante, rispettivamente disciplinati dagli articoli 101 e 102 del TFUE. La Corte di Giustizia ha più volte avuto modo di sottolineare che il diritto al risarcimento da illecito antitrust è ricompreso nell’alveo dei diritti di matrice comunitaria che godono di effetto diretto nei singoli ordinamenti nazionali, anche in assenza di uno specifico recepimento interno. Pertanto, le pretese risarcitorie vanno azionate dinnanzi ai giudici nazionali, ma allo stesso tempo è di fondamentale importanza prevedere un certo livello di armonizzazione tra le numerose legislazioni.

Per perseguire il suddetto scopo, si è resa necessaria l’adozione di condizioni di protezione da applicare in modo uniforme nell’intero territorio comunitario, al fine di prevenire che le cospicue disomogeneità tra le normative nazionali finiscano per comportare distorsioni della concorrenza sul mercato interno, nonché trattamenti discriminatori tra cittadini e imprese di nazionalità diverse.

 

Tale approccio uniformante risulta evidente, ad esempio, dall’innovativa disciplina in materia di prove: il legislatore comunitario ha inteso agevolare la disclosure degli elementi di prova e il relativo accesso da parte del soggetto danneggiato, che generalmente non dispone dei documenti necessari per provare efficacemente gli effetti dannosi che gli sarebbero derivati dall’illecito anticoncorrenziale.

La direttiva prevede infatti che, a seguito di istanza motivata del danneggiato, purché fondata su fatti e prove ragionevolmente disponibili e sufficienti a sostenere la plausibilità della sua domanda di risarcimento, i giudici nazionali possano ordinare al convenuto o ad un terzo, quale l’autorità antitrust che ha condotto le indagini, la divulgazione delle prove rilevanti di cui i suddetti soggetti siano in possesso. Tuttavia, vi sono delicati limiti a tale divulgazione, in quanto entrano in gioco gli opposti interessi delle imprese e del mercato nel suo complesso: oltre al generale rispetto del principio di proporzionalità, l’accesso ai documenti probatori in nessun caso potrà estendersi alle eventuali dichiarazioni rese dalle imprese coinvolte nell’ambito di programmi di clemenza o di proposte di transazione, che, in qualità di dichiarazioni “autoincriminanti”, risulterebbero altrimenti disincentivate, intaccando un pilastro fondamentale del public enforcement della disciplina antitrust.

   

Sempre in tema di prove, la direttiva ha risolto un’altra questione controversa, riguardante il valore da attribuire nel giudizio civile alle decisioni di infrazione adottate dalle Autorità antitrust nazionali, in merito alle quali occorre distinguere tra due diverse ipotesi. In caso di decisione divenuta ormai irrevocabile, il relativo accertamento della violazione avrà valore di “piena prova” e non potrà più essere messo in discussione dinanzi al giudice civile. 
Qualora invece la decisione, sebbene definitiva, sia stata adottata dall'Autorità antitrust di uno Stato Membro diverso da quello in cui è stata azionata la pretesa risarcitoria, tale pronuncia non sarà irrefutabile nel giudizio civile, però costituirà comunque una prova "prima facie" della commissione dell’illecito, che andrà valutata insieme ad altri elementi probatori allegati dalle parti.


Si segnala che la direttiva introduce una presunzione, sebbene iuris tantum, della sussistenza del danno ogniqualvolta il comportamento anticoncorrenziale sia consistito nella creazione di un “cartello”.

 

Qualora l’illecito sia riconducibile ad una condotta tenuta congiuntamente da una pluralità di imprese, queste ultime rispondono a titolo di responsabilità solidale nei confronti del danneggiato, che sarà quindi legittimato a pretendere il pagamento dell’intero risarcimento da ciascuna impresa al fine di ottenere totale ristoro.

Si segnala che la direttiva prevede un regime di favore per le piccole e medie imprese, che potranno essere ritenute responsabili soltanto nei confronti dei propri acquirenti diretti ed indiretti, sebbene a determinate condizioni e con salvezza di alcune fattispecie derogatorie. Analogo trattamento favorevole è accordato anche all’autore della violazione che abbia ottenuto l’immunità̀ dalle ammende nell’ambito di un programma di clemenza. In questo caso l’impresa sarà chiamata a rispondere soltanto dei danni causati ai propri acquirenti o fornitori, diretti o indiretti.

 

Un elemento problematico delle azioni di risarcimento antitrust è rappresentato nella prassi dalle frequenti difficoltà di allocare correttamente il danno lungo la filiera produttiva, in quanto le imprese che subiscono in prima battuta le conseguenze negative del comportamento anticoncorrenziale tendono a scaricare “a valle” il danno. Ad esempio, il sovrapprezzo imposto sulle materie prime da parte di un cartello di imprese fornitrici, viene generalmente trasferito dai distributori ai propri acquirenti tramite un corrispondente aumento del prezzo finale. Pertanto, la direttiva riconosce all’impresa danneggiante, che sia stata convenuta in giudizio per pagare il risarcimento, la facoltà di eccepire che l’impresa attrice abbia trasferito il danno su altri soggetti. L’onere della prova di tale trasferimento del danno grava sul convenuto, che potrà in questo modo liberarsi dall’obbligo risarcitorio. L’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario è quello di evitare che siano concessi risarcimenti superiori al danno effettivamente subito, nonché di proteggere l’acquirente indiretto, che è spesso l’unico soggetto che concretamente subisce un danno nella propria sfera economica.

 

In ogni caso, l’onere probatorio da soddisfare per provvedere alla quantificazione del danno non deve essere tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento e comunque la direttiva prevede in capo al giudice il potere di quantificare il risarcimento in via equitativa.  

 

Queste sono le novità più rilevanti introdotte dalla direttiva 2014/104/UE, che possono essere ritenute nel complesso soddisfacenti. Ora dovranno essere i legislatori nazionali a recepire correttamente la  nuova normativa, e spetterà poi ai giudici civili applicarla nel modo più opportuno.

Si auspica che il sistema giudiziario italiano approfitti di questa opportunità per migliorare l’efficacia del sistema di private enforcement in materia antitrust, anche grazie alla preziosa collaborazione dell’AGCM.