Corte Ue: agli Stati la regolamentazione di Uber quale servizio di trasporto

Con l’importante e recente sentenza della Corte di Giustizia europea – Grande Sezione, del 20.12.2017, nella causa C-434/15, – i giudici di Lussemburgo hanno demandato agli Stati membri il compito di disciplinare, finanche vietandone l’erogazione, la piattaforma elettronica gestita dal colosso americano Uber che, com’è noto, fornisce, mediante un’applicazione per smartphone, un servizio retribuito di messa in contatto di conducenti non professionisti, privi di licenze e autorizzazioni amministrative, che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare spostamenti urbani.

La pronuncia in scrutinio trae origine dal ricorso proposto da Elite Taxi – un’associazione professionale di conducenti di taxi di Barcellona – innanzi al Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Barcelona – Tribunale di commercio –, per accertare la violazione da parte di Uber Systems Spains della normativa interna vigente in materia di pratiche ingannevoli e atti di concorrenza sleale, atteso che né la Uber Systems Spains né i conducenti non professionisti dei veicoli interessati disponevano delle licenze e delle autorizzazioni previste dal regolamento sui servizi taxi dell’agglomerato urbano di Barcellona. Il Tribunale spagnolo, ritenendo pregiudiziale ai fini della decisione la questione ‘‘se i servizi forniti da Uber dovevano essere qualificati servizi di trasporto, servizi propri della società dell’informazione oppure una combinazione di entrambi i tipi di servizi’’, aveva proposto rinvio – ex art. 267 TFUE – alla Corte sovranazionale; dalla qualificazione avallata sarebbe discesa la possibilità di imporre ad Uber l’obbligo di ottenere una previa autorizzazione amministrativa.

In particolare, il giudice a quo aveva espresso il convincimento per cui qualora il servizio in questione fosse ricaduto nell’ambito della direttiva 2006/123 – relativa ai servizi nel mercato interno –, o della direttiva 98/34 – sul commercio elettronico –, le pratiche di Uber non avrebbero potuto essere considerate sleali.

Chiamata a dissipare le esposte incertezze ermeneutiche ed applicative, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, dopo aver delineato i contorni del servizio erogato da Uber, ha statuito che lo stesso è da considerarsi parte integrante di un più complesso servizio il cui elemento principale è rappresentato dal servizio di trasporto che, in quanto tale, non risponde alla qualificazione di ‘‘servizio della società dell’informazione’’ – di cui all’art. 1, punto 2, della direttiva 98/34 –, ma a quella di ‘‘servizio nel settore dei trasporti’’ – testualmente escluso, dall’art. 2, paragrafo 2, lettera d, dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.

Da tali premesse i giudici unionali hanno inferito la non operatività, nel caso di specie, dell’art. 56 TFUE relativo alla libera prestazione dei servizi in generale, trovando invero applicazione il più specifico art. 58, paragrafo 1, TFUE a tenore del quale ‘‘la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti’’; in questa materia l’applicazione dei principi di libera prestazione avrebbe dovuto pertanto realizzarsi tramite l’attuazione della politica comune dei trasporti.

Sennonché, rilevato come allo stato attuale del diritto dell’Unione il Parlamento e il Consiglio europeo non hanno ancora proceduto all’adozione di norme comuni o di altre misure, la Corte ha concluso demandando agli Stati membri il compito di disciplinare le condizioni di prestazione del servizio nel rispetto delle norme generali del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

La sentenza in commento, dalla grande risonanza mediatica, ha inferto un duro colpo alle aspettative di crescita economica di Uber e di molte altre startup della sharing economy che, avendo sin qui operato in un settore non disciplinato, hanno potuto abbattere i costi e offrire un servizio a prezzi concorrenziali. Quanto all’Italia, quanto mai auspicabile è l’intervento, troppe volte rimandato, del Legislatore, anche considerata l’inadeguatezza della vigente legge di regolamentazione dei trasporti, risalente all’ormai lontano 1992.