LETTERE DI PATRONAGE ED IMPRESE ASSICURATIVE

Le lettere di gradimento o di presentazione, comunemente note come lettere di patronage, sono uno strumento largamente in uso nella prassi del commercio con finalità di garanzia.

Si tratta di dichiarazioni, generalmente redatte in forma epistolare, rilasciate in sostituzione di una fideiussione vera e propria da un soggetto, detto patronnant (di solito una società capogruppo o una società controllante), ad una banca o ad un diverso ente creditore per ottenere, rinnovare o mantenere un finanziamento in favore di un determinato altro soggetto, detto patron.

In altri termini, la lettera di patronage costituisce una forma atipica di garanzia, attraverso la quale una società patrocinante manifesta ad un soggetto destinatario la propria situazione di influenza sulla società terza, cosiddetta patrocinata, affermando di essere titolare di un pacchetto azionario della stessa, di avere interesse al mantenimento delle linee di credito ad essa concesse, di impegnarsi a non cedere le azioni di sua proprietà prima del rimborso dei crediti della società debitrice. Perciò, la funzione tipica delle dichiarazioni contenute nelle lettere di patronage non consiste propriamente nel garantire l’adempimento altrui – infatti il garante non assume l’obbligo di eseguire la prestazione dovuta dal debitore principale –, bensì nel rafforzare nel creditore il convincimento che il patrocinato farà fronte ai propri impegni.

L’istituto di cui trattasi è stato di recente oggetto di esame da parte della Sezione I della Corte di Cassazione che – con sentenza n. 20107/15, depositata il 7 Ottobre – ha avuto modo di stabilire, se l’assunzione di obbligazioni (contenute proprio in due lettere di patronage), in favore di una società partecipata da parte di un’impresa assicurativa in bonis, sia o meno valida ai fini dell’insinuazione nello stato passivo della medesima. In particolare, risultava necessario appurare se siffatta assunzione di obbligazioni rientrasse nell’oggetto sociale dell’impresa di assicurazioni, ovvero configurasse una violazione dell’art. 5 l. n. 295/78, con tutte le conseguenze del caso circa la validità delle stesse lettere di patronage. È noto, infatti, che secondo una consolidato orientamento delle Sezioni Unite (cfr. ex multis Cass. Civ., S.U., n. 30174/11, richiamata proprio dalla sentenza de qua), l’espresso divieto sancito dal secondo comma del citato art. 5 (“Le società e gli istituti di cui al precedente comma debbono limitare l'oggetto sociale all'esercizio dell'attività assicurativa, riassicurativa e di capitalizzazione e delle operazioni connesse a tali attività, con esclusione di  qualsiasi altra attività commerciale”) comporta la nullità degli atti negoziali compiuti in sua violazione.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno avuto modo di precisare che la norma in esame è volta unicamente a circoscrivere l’area dell’attività imprenditoriale della società assicurativa, nel senso d’impedire che detta attività assuma una portata incompatibile con quella tipica e specifica di una simile impresa, e non già a limitare la sua capacità d’agire che, pertanto, conserva la sua naturale portata generale. In altri termini: un conto è porre in essere un’attività imprenditoriale eventualmente eccedente i limiti legali sopra indicati, altro è compiere singoli e specifici atti negoziali, quali quelli implicanti l’assunzione di obblighi di garanzia, che di per sé non connotano in alcun modo una specifica attività d’impresa.

Pertanto, non può dirsi vietato che una compagnia di assicurazioni investa in società aventi oggetto sociale diverso, specie ove ciò sia finalizzato – come nel caso di specie – alla conservazione delle riserve patrimoniali di cui detta società necessita per assolvere i suoi compiti. Di talché, il prestare garanzia in sé considerato – nel caso de quo, appunto, attraverso due lettere di patronage –, lungi dall’integrare gli estremi di un’attività commerciale incoerente ed incompatibile con l’oggetto sociale della garante, si configura, piuttosto, come un atto strumentale alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la stessa garante è titolare e, quindi, condivide la medesima finalità cui è ispirata la stessa detenzione della partecipazione.